Gesù, un re che non rispetta i canoni ideali della società

«Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»

| DI di Lorenza Ferrari

Gesù, un re che non rispetta i canoni ideali della società
Luca 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
L’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa celebra Cristo, Signore e re dell’universo. Questa solennità è stata istituita nel 1925 da papa Pio XI il quale, all’epoca, intravvedeva nel tentativo di esclusione di Dio dalla società una delle principali cause dei mali che affliggevano il mondo. Nell’anno C viene proposta la lettura della crocifissione di Gesù nella versione di Luca, testo inserito nel racconto della passione e che descrive la fase terminale della condanna a morte del Nazareno. Tale brano è stato più volte identificato come quello del “buon ladrone”, espressione fuorviante perché implica una interpretazione moraleggiante che non è presente nello scritto di Luca. L’evangelista, infatti, definisce i due che vengono condannati alla morte in croce assieme a Gesù come malfattori, uomini che hanno operato il male e che differiscono nella loro reazione mentre consumano gli ultimi istanti che hanno da vivere.
L’episodio si svolge sulla piccola collina, poco fuori la città di Gerusalemme, chiamata Golgota, luogo in cui, secondo alcune leggende, era stato sepolto Adamo e che vede ora la morte del nuovo Adamo, l’uomo totalmente a immagine e somiglianza di Dio. Luca scrive che dopo la crocifissione il popolo stava a guardare, intendendo evidenziare non un semplice vedere, ma un “guardare riflettendo”, connotando, quindi, positivamente il gesto della gente. In contrasto con tale atteggiamento è il comportamento dei capi religiosi e dei soldati pagani che deridono e scherniscono Gesù. Ciò che viene rimproverato al Nazareno è la sua incapacità di salvare se stesso, elemento fondamentale per colui che, in quanto re, deve essere in grado di salvare gli altri. Tale incapacità, agli occhi degli avversari di Cristo, è da attribuire al suo essere un falso Messia, un impostore. Mettere in salvo la propria vita è una tentazione cui Gesù si era già opposto all’inizio del suo ministero mentre si trovava nel deserto. 
Nell’ottica mondana del tempo il Nazareno non incarna per nulla il modello del re: viene deriso, oltraggiato, ingiuriato, insultato, trattato con disprezzo persino da un malfattore che anche in punto di morte cerca di sfruttarlo per ottenere qualche vantaggio. Gesù vive e si presenta come un re al contrario rispetto all’ideale interiorizzato dalla società: viene condannato per volere dei capi religiosi e poi politici, si lascia crocifiggere assieme a dei malfattori, salva gli altri e non se stesso. È un re paradossale che risulta problematico perché non salva nel modo e nel tempo che ciascuno desidererebbe, non elimina il dolore e la sofferenza dalla vita, non toglie gli ostacoli nemmeno dalle esistenze più provate e innocenti. Cristo, però, è re nel suo modo di amare, di condividere la miseria umana, di rimanere fedele nel tempo della prova, di accompagnare fino alla fine chiunque confida in Lui.
Il dialogo che scaturisce nella parte finale della pericope prende il via dalla risposta di rimprovero che uno dei malfattori rivolge all’altro crocifisso che, con fare stizzito, in precedenza si è rivolto a Gesù esortandolo a mostrarsi come il Cristo, inviato da Dio, capace di dare salvezza a sé e agli altri. Il malfattore si rivolge al suo compagno ammonendolo per la sua mancanza di timore di Dio, successivamente compie un atto di pentimento, ammettendo di aver sbagliato. La frase conclusiva che pronuncia il malfattore riveste una grande importanza: egli è l’unico nei vangeli che si rivolge al Nazareno chiamandolo semplicemente con il suo nome, esprimendo una confidenza inattesa. Mentre è sulla croce il malfattore riconosce di aver commesso il male, accetta le conseguenze che da esso derivano, compie una confessione di fede riconoscendo che Gesù è innocente, e infine rivolge a Lui una supplica non per essere salvato, ma per essere ricordato quando sarà nel suo regno. Tali parole fanno sì che il Nazareno gli risponda con eccedenza, assicurandogli che la salvezza arriverà per lui sin da ora.
Il brano odierno funge quindi da sprone a considerare che, sebbene tutto intorno ci siano agitazione, ansia, cambiamenti e gesti forieri di sofferenza e di morte, chi vive la fede in Cristo sa che le redini della storia sono sempre in mano al Signore che le tiene saldamente, anche se in modo imperscrutabile.
Con questo articolo Lorenza Ferrari conclude i commenti al Vangelo domenicale che ci hanno accompagnato negli ultimi tre anni. La ringraziamo per la preziosa collaborazione e per averci aiutato in questo tempo a comprendere più in profondità il messaggio evangelico con uno stile semplice e con puntuali attualizzazioni, riscuotendo l’apprezzamento di molti lettori.

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