Mons. Falavegna: «Lasciare lo spazio perché altri possano trovare posto»

Il giorno di Tutti i Santi l’ingresso come parroco della Cattedrale: «Nessuno è al centro, se non Cristo»

| DI Silvia Allegri

Mons. Falavegna: «Lasciare lo spazio perché altri possano trovare posto»
Porterà la sua esperienza umana e spirituale al servizio della comunità della Cattedrale, nel cuore della città e della diocesi. Ha preso il via sabato 1° novembre, durante la Messa presieduta dal vescovo Domenico Pompili, una nuova tappa del cammino di mons. Ezio Falavegna, nuovo parroco di Santa Maria Assunta, il duomo di Verona. Nato a Vigasio 66 anni fa, don Ezio è stato ordinato prete nel 1983. Dopo due anni come vicario parrocchiale a San Michele Extra, è stato inviato per motivi di studio a Milano dove nel 1987 ha conseguito la licenza in Teologia sistematica e nel 2002 il dottorato in Teologia pastorale. Dal 1989 insegna all’Istituto superiore di Scienze religiose San Pietro martire, di cui è stato segretario (1985-87) e direttore (1994-2000); dal 1993 è docente dello Studio teologico San Zeno e dal 2007 della Facoltà teologica del Triveneto. Inoltre è moderatore della Curia diocesana, referente diocesano del Cammino sinodale delle Chiese in Italia e referente per i preti della diocesi di Chiang Mai (Thailandia) che studiano in Italia. In precedenza è stato vicerettore nel Seminario maggiore (1991-93), viceassistente del settore adulti di Azione Cattolica (1989-93), collaboratore a San Pio X (1993-96), amministratore parrocchiale di Cazzano di Tramigna e Campiano (2000), direttore della formazione per il diaconato permanente (2000-05), segretario generale del Sinodo diocesano (2002-06), direttore dell’Istituto di pastorale Giberti per il clero giovane (2003-08), vicario episcopale per la formazione del clero giovane e dei diaconi (2005-08), parroco di Pacengo (2006-08). Inoltre è stato incaricato per i preti fidei donum (2010-16), amministratore parrocchiale di Sant’Eufemia (2012-13), rettore di San Lorenzo (2019-20), segretario della Commissione presbiterale della Conferenza episcopale italiana e coordinatore per il riassetto del cammino ecclesiale (2023-24). Quindi parroco fino a una decina di giorni fa dei Santi Apostoli (dal 2008) e di San Nicolò all’Arena (dal 2021). Dal 2007 è cappellano di Sua Santità, da cui il titolo di monsignore. 
Il suo ingresso, in una Cattedrale gremita di fedeli, ha visto tra i concelebranti l’arcivescovo Rino Passigato e numerosi sacerdoti tra cui quelli thailandesi, ospitati nella precedente parrocchia dei Santi Apostoli. Ed è stato accompagnato dal Vangelo delle Beatitudini di Matteo, cuore pulsante del messaggio cristiano. Una sfida ai valori del mondo moderno, che è stata così commentata dal Vescovo nella sua omelia: «È beato colui la cui vita porta frutto e che sprizza gioia. Per Gesù sono beati i poveri, i puri di cuore, gli afflitti, gli affamati e gli assetati, i perseguitati. Oggi invece abbiamo ben altri indicatori di felicità: la salute, il benessere, il successo. Gesù ci insegna che c’è uno scarto tra esibizione e realtà, per questo i beati sono quelli che non contano sulle apparenze e non scommettono sul personaggio, ma piuttosto sulla persona che sono. Il violento, il potente, lo spavaldo, il furbo fa leva su quello che può ostentare, il beato fa leva su quello che è. Dalle Beatitudini di Matteo si ricava che esiste una ricompensa nei cieli, una prospettiva che riscatta anche il non senso. “Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”, usava dire Francesco di Assisi, ricordandoci una prospettiva di ampio respiro: dobbiamo metterci sulla strada dei santi e di coloro che hanno sperimentato nella vita un percorso di crescita interiore. Voglio augurare questo a don Ezio e ai sacerdoti che lo affiancheranno: di essere loro, per primi, in questo cammino, per far aumentare il livello del desiderio di questa beatitudine, ossia felicità, possibile». Gesù, ha proseguito il Vescovo, parla poi dello scarto tra l’individuo e gli altri. «Siamo messi al mondo, non siamo messi all’angolo. In altre parole, non si sta bene quando ci isoliamo in campane di vetro insonorizzate e chiuse, lasciando che gli altri vadano dove vogliono». E in questa epoca di solitudine e individualismo la sola via di uscita sta nell’inseguire ciò che la modernità ha emarginato: il dialogo, il pensiero, lo spirito.
«Inizio il mio servizio con il cuore colmo di gratitudine», ha detto mons. Ezio Falavegna salutando i fedeli, al termine della celebrazione. «Chi varca la soglia di questa chiesa è inondato dalla ricchezza architettonica e dai colori e si sente immerso in un respiro collettivo. È una bellezza corale, una sinfonia di segni diversi e questo mi ricorda la fede, che non teme la diversità, ma la abita. Vorrei che il mio servizio nascesse dal lasciarmi raggiungere, toccare e accompagnare dai tanti passi, e volti, e storie che questa chiesa racchiude e racchiuderà. E dunque ringrazio chi mi ha preceduto, in particolare don Luigi (Cottarelli, il parroco precedente, ndr), per la saggezza e passione pastorale che lo ha contraddistinto, e la comunità che mi accoglie. Porto nel cuore la mia famiglia: radici semplici, contadine che mi hanno insegnato la forza silenziosa del fare spazio, di fare della propria casa un luogo di accoglienza e di condivisione. La posizione del celebrante in questa Cattedrale, una posizione laterale, diventa un segno: lasciare lo spazio perché altri possano trovare posto. E perché nessuno è al centro, se non Cristo. È questo il cammino che desidero fare con voi: lasciarmi arricchire dalla bellezza, assumere la postura del servizio e camminare accanto, non davanti e non dietro, ma insieme. Come compagni di strada, ognuno con le proprie fragilità».

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