«In un mondo che ci insegna a nascere per consumare, amare per possedere, morire dimenticati, Vincenza ci ricorda un’altra possibilità: nascere per servire, amare per liberare, morire generando vita. Non è un programma del passato. È la proposta più rivoluzionaria che possiamo fare anche oggi, ricordando donne come Vincenza Maria Poloni. Peraltro accanto alla tomba di papa Francesco, il cui motto episcopale è stato “Miserando atque eligendo” (guardandolo con misericordia e scegliendolo, ndr)».
Con queste parole il vescovo Domenico Pompili ha concluso la sua omelia nella veglia di preghiera celebrata nella Basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma in preparazione alla canonizzazione della beata Vincenza Maria Poloni (1802-55), fondatrice dell’Istituto Sorelle della Misericordia, e di altri sei beati, in programma stamani in Piazza San Pietro. La veglia era incentrata sul tema “Mani che profumano di misericordia” ed è stata articolata in tre momenti, sempre con al centro le mani: quelle che lei ha consegnato fiduciosamente a Dio, a Gesù “suo amatissimo sposo” e ai fratelli, in particolare gli ultimi, gli scartati, amandoli con il cuore di Dio. Mani che si donano gratuitamente, senza riserve, nonostante il rischio di essere contagiata dal colera che nel 1836 colpì la città di Verona. E poi mani che consolano teneramente perché anche noi possiamo diventare i consolatori degli altri, dopo aver fatto esperienza della misericordia di Dio. E al riguardo è stato davvero suggestivo il segno conclusivo della veglia, una sorta di mandato, che ha visto alcune Sorelle della Misericordia ungere con nardo profumatissimo le palme delle mani dei presenti perché possano divenire il prolungamento delle mani pietose di madre Vincenza verso i bisognosi del nostro tempo. Come pure, in precedenza, la danza di lode di alcune religiose che hanno offerto l’incenso deponendo il braciere davanti all’immagine della prossima santa. Infine una viva emozione ha suscitato il vescovo Domenico che alla conclusione della celebrazione, ancora rivestito dei paramenti liturgici, si è recato a rendere omaggio alla tomba di papa Francesco che è sepolto proprio a Santa Maria Maggiore.
In precedenza il presule aveva ricordato come quella della Poloni «non era beneficenza dall’alto in basso, quella che ti dà il pane ma ti toglie la voce. Era una misericordia intelligente e relazionale, che mentre curava il corpo si preoccupava di risvegliare i sogni. Le testimonianze parlano di come unisse “alle cure delicate il sostegno morale" – tradotto: mentre ti medicava la ferità, ti ricordava che valevi qualcosa, che la tua storia contava, che il futuro era ancora possibile». E poi il suo testamento, «di una semplicità disarmante: “Vi raccomando una sola cosa, la carità. Finché durerà la carità, l’Istituto si manterrà in piedi”. Non regole, non strutture, non potere – ha rimarcato Pompili –. Carità. Amore concreto. Il resto è dettaglio».