di Marta Bicego
C’è una storia che, a distanza di tempo, profuma ancora di speranza. È quella di un maestro, Gianni Faè; di una scuola, ribattezzata Piccola Europa; di un paese, Sant’Andrea di Badia Calavena; di intraprendenti bambini incisori. Ne racconta il docufilm Piccoli Segni, realizzato dal regista Cristian Truzzoli, per la Pro loco della frazione che l’ha presentato in occasione della Fiera dei bogoni. Un omaggio che illumina il passato e che ha tanto da ricordare al presente.
Intellettuale sensibile. Faè nacque a Sant’Andrea nel 1921 e, dopo gli studi classici, si diplomò alla Farnesina di Roma. Era il 1940 e, poco dopo, il suo percorso universitario fu interrotto dalla guerra che lo vide combattere come sottotenente in Jugoslavia, dove finì prigioniero e internato in un campo di concentramento in Germania. Al rientro in Italia, si dedicò all’insegnamento nella scuola elementare del paese natale: quella Piccola Europa nella quale ideò un metodo didattico basato sulla stampa a mano di componimenti poetici. Come quelli del poeta e premio Nobel per la letteratura Salvatore Quasimodo che volle ringraziare personalmente il maestro.
Faè fu tanto altro: giornalista, presidente della Pro loco val d’Illasi, sindaco del capoluogo (dal 1956 al 1964 e dal 1973 al 1979), vicepresidente della Comunità montana della Lessinia, fu fondatore la rivista Ljetzan. Fu tra gli ideatori dell’associazione culturale I Trombini di San Bartolomeo delle Montagne, riscoprendo l’arte dello sparo degli sciopi, come ricorda una targa nel museo a lui dedicato a San Bortolo. E ancora: fu tra i promotori del Curatorium Cimbricum Veronense e attivo nel Cenacolo di poesia dialettale di Verona. Morì nell’aprile 1983 a causa di una malattia.
Quei piccoli incisori. Faè fu un insegnante illuminato. Con gli alunni iniziò a stampare, negli anni Cinquanta, in maniera artigianale la rivista Piccole Dolomiti. L’intuizione gli venne osservando i suoi scolari che, anziché ascoltare le lezioni, preferivano intagliare i banchi impugnando piccoli coltellini, le rengaiete. Quel gesto, pensò, poteva trasformarsi in opportunità didattica: acquistò delle tavolette di linoleum con le quali illustrare delle poesie. Questi “capolavori” trovarono spazio tra le colonne del periodico che finì tra le mani del poeta e ingegnere Leonardo Sinisgalli, all’epoca alla direzione della Civiltà delle macchine, in contatto con i maggiori intellettuali del tempo (Gadda, Moravia e Ungaretti).
Tanto fu l’entusiasmo che coinvolse gli alunni veronesi nel creare delle incisioni dedicate al tema delle macchine. Inoltre, dotò la scuola di un torchio e di una cassetta di caratteri tipografici perché gli alunni stampassero in aula il giornalino, che aumentò di qualità e tiratura e che favorì lo scambio di corrispondenza tra autori quali Montale, Quasimodo e Saba, Ungaretti. E che lo stesso Sinisgalli dei quali furono illustrate ciascuno cinque componimenti poetici. Una parabola creativa che portò addirittura la Rai a parlare dell’esperienza germogliata nella piccola scuola dell’alta val d’Illasi. Curiosità che sono ricordate anche nel volume Leonardo Sinisgalli e i bambini incisori, a cura del giornalista Biagio Russo, riedito nel 2025 dalla Fondazione Leonardo Sinisgalli.
La maestra Clementina. Dietro alla recente riscoperta del maestro, c’è pure l’ex maestra Clementina Presa, che di Faè fu alunna nella scuola di Sant’Andrea, frazione dove tuttora lei vive. Ne ricorda l’entusiasmo, contagio nel farle intraprendere la professione di docente; la capacità di esortare a guardare oltre le montagne che disegnano i profili della vallata, allargando gli orizzonti al territorio e al mondo in generale; la forte personalità, che lo portò a concretizzare metodi pedagogici all’avanguardia. Tanto che andare a scuola «era bello» ma non voleva dire non impegnarsi, anzi: le aule erano luoghi in cui dare il massimo, rispettare gli altri, accogliere le diversità e far emergere le capacità – dall’aritmetica al canto, dalla ginnastica alla grammatica – di tutti. E soprattutto di chi faticava un po’ di più a tenere il passo rispetto agli altri.
«Un giorno ci portò sul ponte del paese per far volare un aquilone che avevamo pazientemente costruito. E poco importa se finì distrutto nel Progno perché le emozioni che avevamo provato ci invitò a ritrovarle nella poesia L’aquilone di Giovanni Pascoli», ricorda la maestra. Così i versi trovavano spazio nella vita. In maniera analoga, spiega, cominciò a far sfogliare un quotidiano in classe, abituando gli alunni alla lettura giornaliera delle notizie. «Un giorno ci portò addirittura a vedere un film!», riferisce ancora la maestra, quando ancora il cinema sapeva abbagliare di stupore gli occhi. Anche questo era sperimentare, divertendosi, visto che «facevamo a gara per tornare a scuola il pomeriggio. Era un uomo dalle idee straordinarie e – conclude – con lui tutto era una scoperta».