Il breve “catechismo per i discepoli” che Marco inserisce a questo punto del suo Vangelo, include i due quadretti di oggi: il primo sull’unione tra uomo e donna, segno altissimo di donazione feconda; il secondo sui bambini, simbolo universale di purezza e di innocenza.Il primo episodio riguarda la concezione di Dio sulla coppia. Alla domanda-tranello, posta da alcuni farisei, se era lecito a un marito ripudiare la moglie, Gesù risponde in maniera originale, richiamando il progetto luminoso di Dio raccontato nella Genesi e abbandonando subito il terreno della discussione polemica senza sbocchi. Conduce i suoi interlocutori verso l’orizzonte positivo dell’amore matrimoniale, risalendo fino al tempo della Creazione. Nel racconto della Genesi al quale Gesù fa riferimento, è di scena Adamo. Costui si sente solo, senza un aiuto simile o – come dice l’originale ebraico – un aiuto “che gli stia di fronte”, una persona quindi in cui poter fissare lo sguardo in un intenso dialogo dello spirito. Si sente incompleto e insoddisfatto non avendo trovato quell’“aiuto simile”. Ecco, allora, la tappa decisiva: l’apparire della donna, che cancella ogni solitudine. I dolori, le gioie, le ansie, gli interrogativi dell’uomo ora si trasfonderanno nel cuore di un’altra creatura, questa volta veramente simile a lui.Alle parole della Genesi si sovrappongono quelle di Gesù, che spezza con un colpo di scure gli intricati nodi delle controversie che giravano attorno alla legislazione divorzista dell’antico Israele. Egli non fissa la sua attenzione sul fallimento, sulla casistica negativa, bensì sulla norma fondamentale positiva che sta alla radice dell’incontro d’amore dell’uomo e della donna, splendidamente formulata dalla Genesi. Gesù, nella sua costante proposta di radicalità e di totalità, presenta il progetto ideale del matrimonio. Un ideale di donazione integrale che esige impegno, serietà e amore autentico.Senza nessun nesso letterario evidente con quanto precede, l’evangelista propone un secondo episodio, una stupenda istantanea che racconta uno dei gesti più suggestivi e freschi dell’intero Vangelo: Gesù accoglie i piccoli, li abbraccia e impone loro le mani, seguendo il costume giudaico per la benedizione. Il suo comportamento verso i bambini è in netto contrasto con la mentalità del suo ambiente sociale, che trova un evidente riflesso nella scomposta reazione dei discepoli i quali, volendo tutelare la dignità e il prestigio del loro Maestro, cercano di allontanarlo da persone importune.Le due affermazioni che seguono dicono il motivo profondo della reazione piena di sdegno di Gesù e propongono una singolare attenzione da riservare ai più piccoli. Il regno di Dio, cioè la sua giustizia, la pace e la salvezza, ora presente nell’azione e nella persona di Gesù, sono un dono che appartiene a coloro che sono privi di prestigio e di diritti, di difese e di pretese. Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà. Poiché i piccoli e i poveri non hanno sicurezze da difendere, né privilegi o ruoli da reclamare, possono essere completamente aperti e disponibili al dono di Dio.La meta che il cristiano deve sempre avere nell’orizzonte della sua vita, e segnatamente della sua vocazione specifica, è quella limpidissima della pienezza d’amore da riversare su ogni creatura, soprattutto verso la più indifesa – come il bambino –, proposta da Gesù come esempio di accoglienza del regno di Dio.