Gesù ha annunciato di nuovo la sua umiliante degradazione fino alla morte violenta, che accetterà soltanto per amore, dichiarando il suo voler essere Messia nel segno del dono e non del potere. La risposta di Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, a questa logica del servizio di Gesù è scomposta, e li mostra ancora avvolti nell’incenso drogato da illusioni di potere e da una religiosità fatta di trionfi.A Gesù che propone la strada dell’immolazione si contrappone la strada del potere, sulla quale rimangono ancorati i due fratelli, mostrando così di non aver minimamente capito il senso delle parole di Gesù. Essi inseguono progetti di carriera. Chiedono, con una disinvoltura che irrita gli altri dieci apostoli, di sedere uno a destra e uno a sinistra di Gesù nel suo prossimo regno glorioso. Domandano di avere i primi posti nella gloria regale di Cristo. La netta risposta di Gesù non si fa attendere. Egli precisa lo statuto del suo regno: l’unica condizione per l’avanzamento è la partecipazione al suo destino segnato dall’umiliazione, dalla sofferenza e, addirittura, dalla morte violenta. Per parlare di questo destino Gesù ricorre a due immagini molto significative per l’ambiente, desunte dalla cultura biblica: bere il calice ed essere battezzati. L’immagine del calice anticipa il destino di morte violenta che si riverserà nella coppa di vino che egli farà circolare tra gli amici nella cena di addio, prima della morte. L’immagine del battesimo evoca anch’essa il destino di una morte dolorosa. Essere battezzati è lo sprofondare dell’uomo perseguitato e tormentato nelle acque amare della morte. L’uso che fa Gesù dell’espressione «essere battezzato» richiama il gesto con il quale Egli ha aperto la sua attività pubblica: il battesimo nel Giordano. Quello era un gesto inaugurale e simbolico. Il vero battesimo si trova alla fine della sua vita. Egli sarà veramente solidale con i peccatori nella sua morte. Giacomo e Giovanni, con la stessa disinvoltura con la quale avevano avanzato la loro pretesa, ora si dichiarano pronti a condividere il destino di Gesù. Ma la loro prontezza si rivelerà più avanti solo supponenza. Gli altri dieci non sono migliori dei due fratelli più intraprendenti. Anch’essi vivono in funzione della carriera e delle promozioni. Gesù presenta invece un nuovo progetto di autorità. Prima di tutto Egli esclude il modello di autorità vissuto nel segno del potere, allora visibile negli esempi drastici dei vari regimi che dominavano, abusavano, sfruttavano. E li invita a distanziarsi da tale modello.Poi propone un nuovo tipo di autorità mediante immagini e modelli sociali inequivocabili per il suo tempo: il servo e lo schiavo. Questi sono i grandi e i primi nella comunità. L’autorità non deve vivere l’atteggiamento del servizio per essere accolta e stimata come autorità: sarebbe ancora una forma subdola di potere. Chi è realmente senza ruolo e senza prestigio ed è veramente servo degli altri, questi esercita l’autorità.Tutte le volte che il discepolo appoggia l’oppressione e il potere è come se tradisse il Maestro. Ogni volta che il discepolo si trasforma in un principe egoista offusca il volto della Chiesa. Cristo è in mezzo agli uomini come un servo, pronto a compiere quel gesto che non poteva essere imposto neppure ad uno schiavo: il lavare i piedi ad un’altra persona.