Il pane non è un prodotto naturale. È necessario che l’uomo lo prepari, non soltanto seminando i campi e raccogliendo le spighe, ma anche trebbiando, macinando i grani, cuocendo la farina, dopo aver messo il lievito e il sale. Il pane è impastato con l’impegno e la fatica dell’uomo, meno violenta rispetto a quella che richiede il grappolo nel torchio, ma altrettanto reale. È quindi simbolo del lavoro quotidiano, spesso monotono e pesante, oltreché della fecondità della terra. Nel bacino del Mediterraneo rappresenta il cibo per la sopravvivenza. Una nostra frase idiomatica lo conferma: “Si lavora per procurarsi il pane”. Il valore simbolico del cibo quotidiano viene evidenziato nella narrazione della moltiplicazione dei pani. L’evangelista Matteo racconta l’episodio avvenuto sulle sponde del lago di Tiberiade in cui Gesù predica ai discepoli e a una folla composta da tantissime persone. I presenti ascoltano assai volentieri le parole piene di bellezza e di speranza pronunciate dal Maestro. Le ore passano in fretta. Quando il sole si avvicina all’orizzonte, gli viene suggerito di congedare la folla, cosicché ciascuno provveda da sé al necessario nutrimento. A questo punto Gesù prende l’iniziativa. Servendosi di ciò che un ragazzo aveva portato, pochi pani d’orzo e un paio di pesci – e quindi non partendo da nulla – moltiplica, fa distribuire, sfama tutti a sazietà. Addirittura si avanzano dodici ceste. L’episodio della moltiplicazione e della condivisione del pane è carico di significati umani e religiosi. Si va oltre il semplice gesto dello sfamare. Gesù annuncia e contemporaneamente concretizza il suo doppio dono. Il dono di una parola che appaga i desideri di comunicazione e di relazione con Dio e con l’umanità e, al contempo, il dono di un pane che realizza il sogno di una vera comunione tra fratelli. Dietro al racconto del pane condiviso con la folla si intravedono allusioni alla manna (mandata da Dio al popolo ebreo nel deserto), al banchetto messianico (preparato per tutti i popoli con cibi gustosi e vini eccellenti, di cui parla il profeta Isaia), al simbolismo dei numeri (il dodici indica abbondanza).Il gesto dei pani compiuto da Gesù è descritto tenendo presente la sequenza delle azioni della cena pasquale, che l’evangelista sottende come una filigrana: alzare gli occhi al cielo, pronunciare la benedizione, spezzare il pane e condividerlo. Agli occhi di chi scrive il pasto consumato vicino al lago diventa l’anticipazione della cena eucaristica, in cui il corpo di Cristo che è cibo e il suo sangue che è bevanda sono il segno supremo della comunione di Dio con l’umanità affamata e assetata.Il racconto mostra poi un ulteriore orizzonte interpretativo offerto dalla presenza significativa dei discepoli, che hanno il compito di mediazione tra Gesù e la folla. Anche se di primo acchito sono dubbiosi circa la possibilità di sfamare tanta gente, capiscono perfettamente le intenzioni del Maestro e collaborano alla distribuzione. I Dodici, presenti e attivi nella moltiplicazione dei pani, alludono al doppio compito della Chiesa di sfamare e di tener vivo il desiderio di un altro Pane.Tale compito si ritrova nel “Padre nostro” che la comunità recita nella Messa poco prima della distribuzione del Corpo di Cristo. In questa preghiera tornano i temi presentati o evocati nel racconto dell’evangelista. Nel recitare coralmente «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» si chiede molto di più di un pezzo di pane. Si implora la fecondità della terra, del lavoro quotidiano con le sue pene e le sue gioie, delle relazioni tra i fratelli radunati, dei valori che rendono ogni persona più umana, del rapporto con Dio. A lui si chiede l’indispensabile sostegno per condividere sempre il pane sulla tavola e ciò che esso esprime nell’intera vita dell’uomo.