La “zizzania”, meno conosciuta come “loglio ubriacante”, è una specie botanica spontanea che infesta i campi di grano. La pericolosità di questa pianta, con fiori a spiga rossa e alta all’incirca un metro, era ben nota agli antichi, soprattutto per l’alta tossicità. L’eliminazione della zizzania dal campo è resa difficoltosa dal fatto che i suoi frutti sono simili a quelli del frumento.L’influenza della parabola nella cultura è notevole. Da questa parabola deriva il modo di dire “seminare zizzania”, che si riferisce a seminare elementi conflittuali, spesso inventati o manipolati ad arte, in un determinato scenario di relazioni, rimanendo nell’ombra. Da tale parabola deriva anche la frase idiomatica “separare il grano dalla zizzania”, ossia dividere le parti di qualità da quelle dannose tra esse nascoste. Dante cita la malapianta in due occasioni (Purgatorio II, 124, e Paradiso XII, 119). Prima e dopo di lui molti scrittori hanno fatto riferimento alla parabola. Persone influenti l’hanno talvolta piegata ai propri fini, come i governanti che si scagliavano contro gli oppositori, accusandoli di aver seminato zizzania; o come i predicatori d’altri tempi che, usando toni apocalittici, si arrogavano il diritto divino di separare il grano dalla zizzania, quindi dividendo nettamente i buoni dai cattivi.La parabola si articola in due quadri. Il primo è dominato da due contrastanti protagonisti. Sullo stesso terreno il padrone, di giorno, e il nemico, di notte, spargono l’uno il buono e l’altro il cattivo seme. Il secondo quadro si apre con l’intervento dei servi che propongono di sradicare subito la zizzania per salvare il raccolto. Ma la richiesta non è accolta dal padrone, evidentemente a causa dell’insolita quantità della zizzania: nel tentativo di estirparla, il raccolto rischierebbe di essere compromesso. Stabilisce che al tempo della mietitura verrà raccolta prima la zizzania, per farne del combustibile. Poi il grano, per stoccarlo nel granaio.Sradicare o lasciar sopravvivere la zizzania: questo è il paradossale contrasto da cui emerge la lezione principale del racconto. Il campo, in cui crescono insieme grano e zizzania è il mondo in cui convivono senza esteriori distinzioni e divisioni sia buoni sia cattivi. È difficile tuttavia identificare gli uni con i discepoli di Cristo e gli altri con i suoi avversari, separandoli nettamente. Il contrasto è più generale: riguarda l’opposizione tra il piano di Dio e la resistenza delle forze avversarie. Dio ha stabilito che la divisione avverrà nel giorno del raccolto. Sino a quel momento è meglio lasciare che le piante maturino, lasciando fiduciosamente il resto a Dio. Come il loglio è talmente congiunto con il grano che non si può strappare l’uno senza sradicare anche l’altro, così gli uomini sono tra di loro talmente collegati che non si può agire contro l’uno senza danneggiare l’altro. Non è con le distruzioni che si edifica il regno di Dio, ma con la pazienza e la fiducia.Vi è nella parabola un riflesso dell’azione di Gesù, che già agli inizi del suo ministero si era rivolto non solo ai santi e ai giusti, ma anche alle pecorelle perdute. Si era fatto amico dei pubblicani e dei peccatori. Aveva accolto uno di essi, Matteo, nel gruppo dei Dodici. Trattava con le prostitute al pari che con le persone pie. La parabola non fa che giustificare il comportamento di Gesù, e contiene per questo un invito alla longanimità, alla pazienza e alla fiducia. Fino alla fine si deve sperare che pure il seminatore oscuro desista dalla sua azione contraria al disegno di Dio.La prospettiva finale è ottimistica. Il male cresce con il bene, ma alla fine solo il bene trionferà. La parabola è un richiamo contro l’indiscrezione e l’impazienza dei buoni. Contiene pure un ammonimento per i cattivi a non lasciarsi sorprendere dall’inesorabile falciatura dell’ultimo giorno.