Nel Vangelo odierno Gesù invita i discepoli da un lato ad aprire le mani che stringono con cupidigia le ricchezze e dall’altro ad essere pronti per il viaggio notturno, tenendo strette le lucerne accese.Cristo spera che i suoi discepoli si sbarazzino delle borse che invecchiano e che vengono rapinate, donandole ai poveri; e si stringano le vesti ai fianchi per intraprendere nel modo migliore il lungo viaggio. È evidente l’allusione alla Pasqua ebraica: «Ecco come mangerete l’agnello: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano». Si delinea così il profilo del discepolo come quello di un pellegrino che è in marcia verso Cristo ed è in attesa della sua venuta. Questo clima di veglia e di attesa pervade le tre parabole che Gesù racconta. La prima è quella del padrone che torna dalla festa di nozze nel cuore della notte. Vedendo i suoi servi ancora svegli ed attivi, si offre, pieno di simpatia e di amore, di imbandire loro una cena.La seconda parabola, molto breve, prende ispirazione da uno scasso notturno. Ha per attore principale un ladro che a sorpresa irrompe in una casa, rovinando e depredando: l’accento è posto da Gesù su quell’elemento di inaspettato che comporta ogni rapina. Anche l’ingresso di Dio nel mondo è una sorpresa che sconvolge le abitudini e le distrazioni. Di qui l’esortazione pressante a prepararsi all’incontro con il Signore, che verrà in un’ora che i discepoli non possono prevedere.La terza parabola è la più sviluppata ed articolata, quella dell’amministratore fedele saggio che è pronto a consegnare al padrone i bilanci e l’organizzazione della casa, in qualsiasi ora il padrone lo chiami a rapporto. L’errore fondamentale sarebbe quello di pensare: «Il mio padrone tarda a venire».In questa frase è racchiusa una delle tentazioni delle prime comunità cristiane: alla speranza e alla tensione nella fede e nell’amore dei primi tempi sta subentrando la tiepidezza, l’indifferenza incolore, il continuo rimando della conversione e dell’impegno. Ecco allora l’appello ripetuto di Gesù: «Siate pronti!». Bisogna essere come le sentinelle che, nelle ore monotone della notte che sembra non finire mai, stanno spiando senza tregua il primo fascio di luce all’orizzonte. La vita cristiana è come una lunga veglia, che si svolge nell’attenzione e nella trepidazione. È un’attesa fatta di un misto di fortezza e di speranza, di certezza e di sorpresa.La pagina di Vangelo delinea il profilo dei discepoli che nel viaggio della loro vita non devono essere appesantiti dagli ingombri delle cose, ma liberi e generosi, seriamente impegnati a testimoniare il Vangelo con alacrità e laboriosità nella Chiesa e nel mondo. La vita dei discepoli è caratterizzata da due atteggiamenti: la vicinanza e la responsabilità. Sono rivolti al futuro dal quale attendono la salvezza. Per questo essi stanno all’erta, sempre pronti come per un viaggio. Il futuro del discepolo ha un nome e un volto preciso: è il Signore Gesù. Per questo il tempo dell’attesa è il tempo della responsabilità e della fedeltà. L’attesa del Signore è una componente fondamentale della vita cristiana. È quanto ci ricorda l’antica invocazione di fede e di speranza: “Marana thà”, “Vieni, Signore Gesù”; è quanto si ripete autorevolmente nella liturgia eucaristica: “Nell’attesa della tua venuta”.Don Maurizio Viviani