Più volte Gesù si è trovato di fronte all’insuccesso e ha sperimentato l’amarezza a causa degli abbandoni di quanti si dimostravano disposti, almeno a parole, a dare tutto, anche la loro vita, per la causa del Regno. I due casi più noti sono Giuda, che con un bacio, simbolo di amore e di fedeltà, ha tradito il Maestro, e Pietro. Quest’ultimo non ha avuto un comportamento encomiabile: appena dopo l’arresto di Gesù per tre volte ha solennemente negato di conoscerlo. Non sono poi mancate persone che, invitate personalmente a seguire Gesù, hanno tergiversato con nobilissime giustificazioni, come dare una dignitosa sepoltura al padre appena deceduto, o poter disporre di un congruo tempo per congedarsi amabilmente dalla famiglia. Gesù si mostra molto esigente. Anche davanti alle comprensibili esigenze familiari rimane fermo nella sua richiesta: non può essere preferito a nessuno, nemmeno agli affetti più cari. Come Dio chiedeva al popolo dell’Alleanza un’adesione totale, così Egli chiede di essere preferito anche ai vincoli di sangue. Inoltre invita apertamente a mettere in conto la possibilità di seguirlo nella via oscura e drammatica della croce, disponendosi ad affrontare anche la morte violenta. La croce di cui Gesù parla è il simbolo di tutte le sofferenze, le ingiurie, le delusioni, le persecuzioni che la missione comporta. La croce suprema è la perdita della propria vita per il Vangelo, che sarà poi ricompensata con un guadagno eterno. Il cristiano vive con la duplice tensione alla testimonianza cristallina e alla gloria piena. Le due realtà non si escludono, ma si integrano reciprocamente, come la passione e la risurrezione. Cristo non ha raggiunto la sua esaltazione se non passando per la morte in croce. Non esiste la Pasqua prima del venerdì di passione. Gesù non propone di amare la croce per se stessa. Propone di seguirlo incondizionatamente, anche a rischio della vita. Se l’asticella della richiesta di Gesù è alquanto elevata, altissima è la dignità che Lui riserva ai suoi discepoli. Sostiene che accoglierli significa accogliere Li e, in ultima analisi, Dio stesso. Un principio giuridico del giudaismo riconosceva al delegato il medesimo trattamento riservato al suo padrone. Poiché il discepolo è diretto rappresentante di Gesù, accoglierlo produrrà una ricompensa identica a quella prevista per l’accoglienza del Maestro. Si parla di ospitare nello specifico alcune categorie di discepoli: i profeti, i giusti e i piccoli. I profeti si caratterizzavano per l’intuizione soprannaturale con cui sapevano cogliere i segni dei tempi e indicare la volontà di Dio nelle circostanze della vita di singoli individui e del popolo. I piccoli erano credenti dalla fede debole e fragile, esposti al pericolo reale di perdere a breve il contatto con il Maestro. I giusti erano i discepoli dalla condotta esemplare, saldamente fedeli a Dio Padre. Accoglierli significa ascoltarli e credere al messaggio che trasmettono.Il discepolo ha il compito di essere una sorta di mediatore tra il fedele e Gesù. Dopo aver svolto nobilmente il suo compito di accompagnatore nella fede deve mettere in conto di potersi ritirare. Onorando anche con altre persone e in altri contesti la sua qualifica essenziale: essere un trasmettitore credibile del Vangelo. Accettare il discepolo è accettare Cristo stesso. Offrire all’evangelizzatore un bicchiere di acqua fresca, come era prassi fare con i viandanti del tempo, o lavare i piedi ai pellegrini, come successivamente sarà prassi nei monasteri agostiniani, è dare il proprio contributo al Vangelo, rendendosi benemeriti di una ricompensa certa da parte di Gesù che il discepolo rappresenta con la sua vita.Don Maurizio Viviani