Alfie è morto, la sua tragica storia interroga la nostra vita

Queste mie parole sorgono dal cuore del vescovo ma anche dell’uomo e del cittadino...

April 26, 2018

| DI Mons. Francesco Moraglia

La vicenda drammatica del piccolo Alfie non può lasciarci solo pensosi e tristi. Deve, piuttosto, portare ad una riflessione pacata e che aiuti a maturare una posizione per cui i diritti dei deboli - innanzitutto di un bambino e poi dei due giovani genitori - non siano “diritti deboli”. La vicenda del piccolo e fragilissimo Alfie ha faticato a catturare l’attenzione di molti, ma, alla fine e contro tanti ostacoli, vi è riuscita. E questo bambino, anche grazie ai media, è diventato davvero “figlio nostro” e “figlio del mondo”. La vicenda è molto triste perché chiama in causa la civiltà e la cultura, il diritto e la giustizia, le istanze etiche attorno a cui si fonda la vita di un intero Paese, di molti popoli, di una nazione e di un intero continente - l’Europa - che purtroppo, ancora una volta, ci lascia profondamente delusi per come non riesce a trattare una questione delicatissima e così lancinante. L’Europa si spende per l’euro, per le banche, per i parametri economici… ma sembra continuare a balbettare in altri fondamentali ambiti. Il nostro Paese, l’Italia, concedendo ad Alfie la cittadinanza e offrendo la disponibilità ad accoglierlo e curarlo in alcune nostre strutture ospedaliere d’eccellenza (il Bambino Gesù di Roma e il Gaslini di Genova), ancora una volta - come per il salvataggio di migliaia di uomini in mare - ha saputo e soprattutto voluto cantare fuori dal coro, mostrando in tale vicenda un’attenzione, una sensibilità e, in una parola, un’umanità che, in fondo, da sempre appartiene all’Italia, alla sua storia e alla sua cultura e che viene continuamente attestata da varie e attuali situazioni contingenti e strutturali. Certo, non sono mancate e non mancano in Italia ambiguità e incoerenze - alcuni recenti provvedimenti legislativi lo dimostrano - ma in questi casi (il piccolo Alfie e i salvataggi in mare) - e quindi sia nel rispetto della vita che, più in generale, nel prendersi cura delle persone - si è evidenziata un’incoraggiante “originalità” propria della cultura e della civiltà italiana, anche rispetto ad altri filoni di pensiero anglosassoni ed europei. Un’originalità di cui dovremmo andare umilmente fieri, non dimenticando di trascurarla e praticarla per il futuro. Con le parole che ha usato pochi giorni fa Papa Francesco, vorrei anch’io ribadire che "l'unico padrone della vita, dall'inizio alla fine naturale, è Dio” e che, sempre, “il nostro dovere è fare di tutto per custodire la vita". Anche chi non è credente può convenire sul fatto che nessun potere umano (politico) può arrogarsi il diritto di impedire che altri Stati ed istituzioni scientifiche riconosciute come eccellenze - nel campo della ricerca e della cura medica - si facciano carico del piccolo Alfie ed intervengano in luogo di chi non ha più nulla da dire o da dare. Senza accanimento terapeutico, senza cioè trattamenti sproporzionati, ma anche senza abbandono terapeutico, cioè senza mai venire meno al dovere-diritto di prendersi cura e di accompagnare la persona malata e i suoi familiari con alta professionalità, con grande umanità e con… amore, veramente disinteressato e non ideologico. Si tratta perlomeno di risparmiare il dolore - come ora è possibile, con le opportune e preziose cure palliative - fino al momento della morte naturale. Solo così una società “vive” e progredisce, solo così si cresce in civiltà e umanità. Affidiamo nella preghiera il piccolo Alfie e i suoi genitori alla Madonna - che è Madre di misericordia - perché non faccia mancare luce e speranza anche nei momenti più bui e continuiamo a chiedere ed invocare umanità perché finalmente, come ha detto ancora il Santo Padre, “venga ascoltata la sofferenza dei suoi genitori”.

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