Si può misurare o verificare la fede in Dio di una persona? La risposta ovviamente è negativa. Qualora dovesse sorgere qualche esitazione a riguardo, potrebbe essere utile far venire alla mente una delle frasi più conosciute dell’Antico Testamento, laddove Dio dice a Samuele «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». In questa frase, scolpita nell’intimità di tanti, il verbo vedere esprime l’entrare nelle profondità dell’anima, e il sostantivo cuore sta per la sede della forza anche fisica, per il centro della vita spirituale e dell’interiorità, dei sentimenti e della volontà dell’uomo. Solo Dio conosce il cuore di ciascuno e nessuno può giudicare o, ancor meno, emettere verdetti su come si rapportano con Lui i suoi figli. Da buon Padre, Dio può anche saggiare la fede dei figli e può creare occasioni per rafforzarla e renderla più autentica. Non mancano nella Bibbia i racconti di esperienze in cui Dio intende mettere alla prova il singolo credente o il popolo da Lui scelto, per verificare la solidità della loro fede. Tali verifiche si ritrovano con una certa frequenza nel lungo percorso che il popolo ebreo compie nel deserto, mentre con fatica cammina verso la Terra promessa. Sono esperienze che hanno l’obiettivo di testare la qualità della fede di un popolo non raramente brontolone e infedele. Dio, avuta la conferma della tenuta della fede degli ebrei nei momenti della prova, si prende ancora più cura di loro, procurando acqua e cibo con abbondanza, perché possano così proseguire il cammino.In qualche occasione anche Gesù ha testato la fede dei suoi apostoli e la loro reale fiducia nei suoi confronti. Ciò è accaduto a Cesarea di Filippo, dopo un tempo prolungato di condivisione dell’azione missionaria tra il Maestro e i Dodici. Gesù, volendo verificare la qualità della fede dei più vicini a Lui, pone loro in sequenza due domande: «La gente chi dice che io sia?» e «Voi chi dite che io sia?». Rispondere alla prima è più facile, perché basta riportare il parere di altri. Più impegnativa la seconda, perché chiama direttamente in causa ciascun discepolo. Tocca a Pietro, portavoce dei Dodici, togliere l’imbarazzo dal gruppo e dichiarare: «Tu sei il Cristo». Affermazione, questa, che condensa la totale fiducia in Gesù e nella sua missione redentrice.Nel contesto dell’ultima cena – come ci ricorda l’evangelista Giovanni nella pagina di oggi – Gesù propone il criterio centrale dal quale si può dedurre la qualità della fede in Dio. Il criterio è l’amore. È l’amore il “comandamento nuovo” e supremo di Gesù, che Lui consegna agli apostoli nella serata di addio. È l’amore vissuto nella concretezza la cartina al tornasole che verifica l’autenticità o meno della fede in Dio. Fede e amore sono legatissimi fra di loro, come se fossero le due facce della stessa moneta. Se fino a questo momento Gesù ripeteva l’importanza di amare Dio e il prossimo, ora aggiunge di dover amare anche Lui. La richiesta di amarlo non è accompagnata da rivendicazioni o da costrizione. È una proposta offerta nel massimo rispetto della libertà di ciascuno.«Mi ami tu?». È la domanda che Gesù rivolge a Pietro dopo la risurrezione, per verificare nuovamente la fede di colui che lo aveva tradito. Gesù ripete la domanda tre volte, per giudicare se l’adesione a Lui è reale. Pietro nella triplice, convinta e profonda risposta dichiara tutta la sua fede nel Risorto. D’ora in poi, trasformato dall’amore ricevuto, Pietro diventerà, grazie al dono dello Spirito, un granitico annunciatore dei gesti di Gesù e un’eco delle sue parole. Quanti lo ascolteranno potranno vedere le espressioni concrete di una fede autentica, che solo Dio conosce in profondità.