Il testo evangelico di questa domenica, come scritto la settimana scorsa, appartiene al quinto grande discorso presente nell’opera di Matteo che è detto escatologico, poiché riguarda gli ultimi avvenimenti, la fine dei tempi. Si tratta di un brano da avvicinare in maniera accurata, senza limitarsi ad una lettura veloce e superficiale che potrebbe indurre a interpretazioni fuorvianti rispetto alle intenzioni dell’autore. La parabola dei talenti, infatti, nel corso del tempo è stata sovente commentata in un’ottica commerciale e imprenditoriale come fosse un elogio all’efficienza, in cui i talenti rappresenterebbero le qualità umane e i beni destinati ad essere sfruttati al massimo, rifuggendo tutto ciò che porta all’improduttività. Non è casuale, a questo proposito, che nella lingua italiana si faccia ricorso al termine talento per indicare anche l’inclinazione naturale, la capacità di ingegno, mentre in origine tale parola indicava una unità di peso che variava dai ventisei ai trentasei chili circa (alcuni propendono per una oscillazione tra i trenta e i quaranta kg) e corrispondeva indicativamente a seimila denari, ossia l’equivalente di vent’anni di salario di un operaio.Per comprendere il Vangelo che la liturgia propone in questa domenica è bene partire dall’inizio, cioè dal fatto che si tratta di una parabola e che, come tale, segue delle regole proprie dal punto di vista letterario e si presta a diversi livelli di lettura e comprensione. Nel genere parabolico, inoltre, spesso ritorna l’uso di un linguaggio forte, esagerato, ricco di iperboli che possono portare l’uditore a restare allibito di fronte alla durezza delle immagini utilizzate e alla perentorietà di certe sentenze. La circostanza che apre la vicenda è la partenza imminente di un padrone che affida i suoi beni ad alcuni uomini al suo servizio. La spartizione delle sostanze è assolutamente diseguale ed è, quindi, opportuno soffermarsi a riflettere sul perché di tale scelta. Il testo riporta che essa è stata fatta cercando di dare a ciascuno secondo la sua capacità. In base a una valutazione personale da imputare esclusivamente a lui, il padrone manifesta l’intenzione di stimolare la responsabilità personale di ciascun servo nei confronti della somma che gli è stata affidata. A tal proposito l’agire dei primi due servi rispetto al terzo appare sostanzialmente differente: mentre i primi, pur disponendo di quantità diverse, si attivano per far fruttare quanto affidato loro, il terzo si limita a sotterrare il talento avuto in sorte.La chiave interpretativa della parabola è da rintracciare nell’ultima parte del testo, quella in cui sono riportati i dialoghi tra il padrone ritornato e i servi chiamati a rendere conto del loro operato. I primi due collaboratori, che mostrano di aver raddoppiato i talenti di cui erano in possesso, sono elogiati come buoni e fedeli e vengono ricompensati nella stessa maniera, potendo accedere alla condivisione della gioia del proprio signore; il terzo servo, invece, viene condannato ed escluso. La reazione del padrone potrebbe apparire esagerata se si considera che, in fondo, l’ultimo servo non si è presentato a mani vuote, non ha rubato, bensì ha riportato tutto quanto gli era stato dato. Ma è proprio qui che si annida la questione: alla fiducia che il signore ha riposto in lui affidandogli un talento, egli risponde con una totale assenza di responsabilità, accompagnando la sua incapacità di correre rischi ad alcune affermazioni sprezzanti e non corrispondenti al vero riguardanti il padrone. Trapela, così, l’immagine fuorviante ed errata che questo servo pavido si è costruito del suo signore, un’immagine talmente radicata dentro di lui che non l’ha mai messo nella condizione di avvertire il talento che aveva tra le mani come qualcosa di suo, di cui disporre liberamente. Il terzo uomo viene punito duramente perché l’idea errata che si è fatto di Dio lo ha costretto a rimanere nella condizione servile di colui che ha paura, che teme il giudizio e per evitare di sbagliare seppellisce il dono che ha ricevuto. Egli non si fida e di conseguenza vive un amore costretto, ingabbiato dalle regole nei confronti del Signore. La parabola di oggi è un invito a vivere l’attesa del ritorno di Dio senza lasciarsi imbrigliare da paure e timori o accontentandosi di quello che già si fa, guardando con sospetto ogni possibilità di cambiamento o le sfide che il presente ci pone di fronte. Gesù esorta a vivere con responsabilità e consapevolezza questo tempo incerto senza rinunciare all’audacia e alla creatività che possono contribuire a far fruttare i talenti che ciascuno ha avuto in sorte.