Pietro, insieme ad altri sei discepoli (sette in tutto), decide di tornare a pescare. In questa scelta, possiamo evidenziare due aspetti significativi per la nostra riflessione.In primo luogo, Pietro riprende la sua precedente attività lavorativa, quella che svolgeva prima della chiamata di Gesù. Questo gesto sottolinea un apparente ritorno a una vita ordinaria, quasi un tentativo di rifugiarsi in una quotidianità conosciuta di fronte allo sconvolgimento degli eventi. Pietro sembra non aver ancora pienamente compreso la portata della Resurrezione e appare quasi rassegnato. Inoltre, il gruppo degli apostoli risulta incompleto: manca ovviamente Giuda, ma anche altri quattro discepoli. Dove sono? L’esperienza traumatica della croce ha evidentemente scompaginato la comunità di Gesù, lasciando la prima Chiesa ferita e smarrita.In secondo luogo, l’affermazione di Pietro: «Io vado a pescare» (Gv 21,3), pronunciata proprio da colui che Gesù aveva designato come la “pietra”, il primo tra gli apostoli, suona come una decisione solitaria e definitiva. Sembra quasi che gli eventi degli anni precedenti, l’incontro con Gesù e la sua sequela, siano stati momentaneamente cancellati. Si percepisce una perdita di memoria della promessa ricevuta («Ti farò pescatore di uomini»), un venir meno della fiducia che Pietro aveva dimostrato e persino un allentamento dei legami con gli altri discepoli. In questo stato d’animo, Pietro cerca rifugio nell’unica cosa che conosce: il suo antico mestiere. Tuttavia, il Signore risorto non si scandalizza dello smarrimento dei suoi discepoli, né della scelta di Pietro di ritornare alla pesca. Anzi, si fa presente a loro proprio sulla riva, nel loro contesto di apparente “ritorno al passato”. Questa manifestazione avviene in modo discreto e silenzioso: “Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (Gv 21,4). La sua è una presenza umile, quotidiana, che richiede di essere cercata e desiderata, superando alcuni rischi che possiamo vivere.Tra questi rischi, possiamo individuarne in particolare due. La “pigrizia spirituale”: una stanchezza interiore causata dalla routine e dalla ripetitività di orari e impegni, che porta a un “tirare avanti” privo di creatività sia nella preghiera che nelle relazioni. È uno stato di passiva attesa che qualcosa di esterno irrompa a cambiare le cose. Questa pigrizia si vince riprendendo consapevolezza che il Signore Gesù ci visita nella realtà del nostro oggi, così come si presenta.La “fretta sterile”: un attivismo frenetico che nasce più dall’emotività che da un vero discernimento. Si è convinti che la soluzione risieda in un cambiamento immediato, nell’attuazione di una nuova idea o iniziativa, senza una profonda e dovuta riflessione. Si vive rincorrendo varie cose pensando che ciascuna sia la cura di tutti i mali. Davanti a questa agitazione, dobbiamo ricordare che la piena realizzazione della nostra vita si compie nel domani, nella pienezza del Regno di Dio.Quando il Signore grida loro di gettare le reti, queste si riempiono miracolosamente: “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!»“ (Gv 21,7). E la reazione di Pietro è immediata: “si strinse la veste attorno ai fianchi” (Gv 21,7). Questo gesto ricorda l’ultima cena, quando Gesù si cinse l’asciugamano ai fianchi per lavare i piedi ai discepoli, rivestendo il ruolo di servo. «Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire» (Mc 10,45). Pietro recupera quella virtù fondamentale di cui aveva tanto bisogno: l’umiltà che diventa servizio. Solo nell’umiltà possiamo riconoscere il Signore presente sulle rive delle nostre giornate. E proprio cingendosi di umiltà Pietro riesce ad attraversare il mare, quel mare dove tempo prima stava affogando a causa della presunzione di camminarci sopra con le sue sole forze (Mt 14,28-30). Gesù non si raggiunge assumendo dei “super poteri” o attraverso eventi straordinari, ma facendoci servi umili.A riva, i discepoli trovano delle braci con sopra del pesce e del pane. Il Risorto dona loro del cibo e li invita a mangiare. Il cibo è immagine della vita. Pietro comprende che le sue sole competenze non possono dargli la vera vita, come dimostra la notte di pesca fallimentare. La vita autentica viene sempre da un Altro, viene dal Risorto che è il Signore della Vita.