Il vangelo di questa domenica ci riporta a Gerusalemme per narrare gli avvenimenti che coinvolgono Gesù durante gli ultimi giorni che precedono la Pasqua ebraica. Dopo il segno della resurrezione di Lazzaro, i sacerdoti del tempio e i farisei decidono che è necessario eliminare il Nazareno che tanto successo e favore sta riscuotendo tra la gente. Al suo ingresso nella Città Santa, infatti, mentre procede sul dorso di un asino, c’è una folla festante ad accoglierlo che lo acclama e lo osanna come re di Israele. La diffusione della sua fama è tale che addirittura un gruppo di stranieri vuole incontrarlo: si tratta di greci, verosimilmente pagani non circoncisi (quindi non ebrei della diaspora) affascinati da alcuni aspetti della cultura ebraica e osservanti di taluni precetti d’Israele come quelli inerenti al giorno di sabato. Probabilmente è a causa di questo loro status di non giudei che, non potendo andare oltre il cortile dei Gentili nei pressi del Tempio, devono chiedere a un discepolo per incontrare il Messia. Gesù e i suoi, infatti, potevano accedere anche ad altre zone più interne del santuario frequentate solo da ebrei circoncisi. Gli stranieri che il testo definisce greci formulano una richiesta precisa: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21). L’affermazione è di una semplicità e chiarezza disarmanti. Questi uomini danno voce al desiderio profondo e insaziabile che sta nel cuore di ciascuno: vedere Gesù e, tramite Lui, quel Dio che nessuno ha mai visto. Nel lessico di Giovanni la realtà del vedere indica qualcosa che va ben oltre lo sguardo fisico e fa parte del processo che conduce alla fede. Riprendendo un vecchio spot pubblicitario si potrebbe sintetizzare affermando che nell’orizzonte giovanneo si tratta realmente di un “vedere per credere”. E non è un caso che questo gruppo di greci si rivolga proprio a Filippo: sicuramente l’affinità suscitata dall’origine ellenica del nome come pure dal suo luogo di provenienza – la città di Betsaida – possono aver indotto a preferire lui ad altri discepoli, ma si ricorderà che è proprio Filippo ad invitare Natanaele a venire a vedere il Messia che egli aveva incontrato da poco (Gv 1,45). Filippo è il discepolo i cui occhi e cuore conoscono bene la sete generata dal desiderio di trovarsi al cospetto di Gesù, sebbene il suo sguardo non sia sempre all’altezza della logica divina. Filippo ha sperimentato di persona la volontà bruciante di vedere il Messia e stare con Lui.La richiesta degli stranieri non viene immediatamente esaudita, ma è dilazionata e permette al Nazareno di annunciare che è finalmente giunta l’ora in cui il Figlio dell’uomo verrà glorificato. L’ora in questione riguarda la sorte che attende il Messia, quella in vista della quale Egli ha orientato tutta la sua esistenza, quella in cui si realizzerà il paradosso della morte che genera vita. Per far comprendere a cosa fa riferimento, Gesù fa ricorso alla similitudine del chicco di grano che per dare origine ad una spiga deve lasciarsi coprire di terra fino a scomparire in solitudine, permettendo che dal suo sacrificio possa germogliare nuova vita. Ciò che viene detto del chicco di grano prelude a quanto accadrà al Nazareno: anche Lui resterà solo, attraverserà il buio e le tenebre della morte offrendo la sua vita per tutti, ma a partire da questo evento fiorirà nuova vita. Il Maestro rivela, pertanto, che per Lui la vera morte non è quella fisica, ma quella che deriva dal rifiuto di fare della propria esistenza un dono per gli altri. Non si tratta di disprezzo della vita bensì di profondo rispetto della sua essenza: la vita è un dono che rimane tale solo se non viene deformata dal desiderio di possesso, se non si trasforma in ripiegamento sterile su se stessi. Ecco, quindi, la risposta indiretta ai pagani che desiderano incontrarlo: essi potranno vedere la sua passione, morte e risurrezione, il suo abbassarsi umilmente e la sua glorificazione mentre dalla croce dimostrerà la capacità di amare letteralmente sino all’ultimo respiro. Coloro che vedendolo crederanno in Lui saranno salvati ed entreranno nella vita eterna. Questo è ciò che attende tutti quelli che anche oggi desiderano vedere Gesù e che sono disposti a seguire il loro Maestro.Nella successione a tratti monotona e ripetitiva del susseguirsi dei giorni della vita, tutti abbiamo sperimentato un tempo che fa la differenza, un momento che riconosciamo come un punto di svolta decisivo. Se ci pensiamo, però, tutti quegli attimi che hanno cambiato la nostra quotidianità li individuiamo sempre a posteriori, volgendo lo sguardo al passato, cercando di riavvolgere la pellicola su cui è impresso ciò che abbiamo vissuto, perché il mutamento spesso avviene all’improvviso, quando non ce l’aspettiamo. Gesù, invece, nel testo evangelico di questa domenica ci viene presentato come colui che sa distinguere il tempo, che sa quando il momento opportuno sta arrivando, che sa valorizzare e affrontare il presente anche quando questo gli provoca turbamenti e fatiche. Il Nazareno è colui che ci può insegnare la capacità di vivere e attraversare l’oggi con consapevolezza, facendo della logica del dono la misura della nostra esistenza.