Un passaggio di questo brano evangelico della terza domenica di Pasqua mi colpisce in maniera particolare: “Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?»”. Gesù si manifesta per la terza volta dopo la sua morte e risurrezione agli apostoli, i quali non lo riconoscono per le sembianze fisiche, il volto e il corpo incarnato da Cristo: non è più la dimensione umana che unisce i discepoli a Cristo risorto, ma quella spirituale. Quel non “osare” domandare, da parte dei discepoli, dice che il volto di Cristo è cambiato, che la sua struttura fisica non ha più importanza, perché ciò che unisce è l’incidere delle sue parole e dei suoi gesti. Egli li invita a mangiare e vivere la dimensione della fraternità. Vi è una comunione profonda fra Gesù e i discepoli, una comunione che non lascia spazi a dubbi ed incertezze, che infonde in loro forza e che dona gioia nel cuore. I discepoli sono ora pescatori d’uomini: la rete non si spezza perché la loro missione, dopo la risurrezione di Cristo, è quella di riunire nella “rete” dell’amore e della misericordia tutta l’umanità raccolta attorno alla figura di Cristo, unico centro esistenziale. Purtroppo oggi le nostri reti sono un po’ troppo sfilacciate, con fori che lasciano passare molti pesci, che non contengono, perché allentate e poco resistenti. Quel gettare le reti sulla parola diviene per noi uno stimolo ad avere coraggio, a sapersi affidare a Cristo senza lasciarci sopraffare dalla fatica e dalla sfiducia. Spesso noi cristiani non siamo capaci di affidarci e viviamo con calcoli precisi. Per questo cadiamo nella tentazione di esprimere concetti di esclusione, di non accoglienza perché l’imprevisto, l’imprevedibile sconvolgono la nostra quieta esistenza, le poche sicurezze terrene raggiunte. Non ci rendiamo conto che così non accogliamo Cristo nella nostra vita, lo lasciamo fuori, alla porta, e ci condanniamo ad un’esistenza condizionata dal timore di non perdere questo equilibrio. Ed ecco arrivare la crisi economica, che non riguarda solamente il terzo mondo, ma anche porzioni significative di popolazione europea e italiana. E allora di fronte alla perdita, anche noi cristiani rischiamo di accanirci con i più deboli, con coloro che sono alla fine della torre di Babele. Ma Cristo Gesù dice a Pietro: «Seguimi», senza indugio e tentennamenti. Cristo chiede a Pietro di fondare la sua vita su una relazione profonda con il Signore e sa che l’amore che Pietro potrà offrire non è l’amore di un innocente, ma è l’amore di un perdonato. Nella sequela di Cristo ogni paura viene superata, perché in Lui non c’è nulla da difendere, perché nella perdita apparente delle proprie sicurezze si acquisisce forza e serenità. E allora tornano le parole di papa Francesco: “Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano… Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo” (Evangelii gaudium, n. 270).