Bavero alzato, sciarpona sulla bocca masticata dalla tensione, guanti e, qualche volta, anche una pesante calzamaglia sotto i pantaloni, occhi sgranati pieni di luci colorate, profumo di zucchero filato e bomboloni fritti. Questa era l’immagine dei giorni appena prima di Santa Lucia.
Erano gli anni Sessanta, la Luna non era ancora stata conquistata, la televisione trasmetteva in bianco e nero, nei jukebox erano quattro ragazzini di Liverpool i più gettonati.
Oggi la Luna è più vicina, si parla di “punti quantici” per la perfezione nei colori dello schermo televisivo, i jukebox sono antiquariato e la musica è cambiata in tutti i sensi.
I bambini però hanno gli stessi occhi, le luci si accendono alla stessa maniera e lo zucchero è dolce e profumato come allora.
Santa Lucia riesce così a fermare il tempo sconfiggendo anche quello stato di ansia che in questo periodo ci prende, ci stordisce, ci preoccupa, ci condiziona.
Doveroso dire che qualcuno fa il possibile per ostacolare questa festa, sospesa tra fede e tradizione popolare. È notizia recente che in qualche classe sia vietato ogni festeggiamento legato alla Santa con l’asinello. Potrebbe offendere culture diverse, potrebbe scontrarsi con modi differenti di interpretare il Natale.
Peccato! Queste tradizioni, radicate nel territorio, sono per noi naturali come la nebbia in campagna e la brina sui tetti delle case, come le carezze dei nonni ai nipotini, come la legna che scoppietta nel focolare, come un sorriso, come una lacrima, come il fiato che diventa bianco e poi sparisce.
Santa Lucia arriva ogni inverno in tutta Europa, dalla Svezia alla Polonia, Russia e Danimarca per poi riscaldarsi un po’ nel nostro temperato clima meridionale di Siracusa e di Palermo. Ma qui a Verona, Santa Lucia parla dialetto, è proprio nostra, è una cara amica, una sorella, una mamma. Scende dal tetto senza farsi sentire ed accontenta tutti i bambini, non è vero che porta il carbone, è troppo buona.
In questi decenni di comportamento umano dissennato poteva anche decidere di abbandonarci e di lasciarci naufragare nella nostra follia e invece no. Ogni 13 dicembre, puntuale, arriva alle prime ore dell’alba, annunciata dal suono di una campanella, non è ancora passata agli sms.
Neve, pioggia, freddo, nebbia, nulla riesce a fermarla nemmeno qualche sconsiderato tentativo umano.
Ricordo tante notti di Santa Lucia vissute da bambino, le coperte arrivavano fino agli occhi, ci si addormentava a fatica ed era subito giorno, una corsa in salotto senza nemmeno indossare le ciabattine.
Si seguiva la scia di dolcetti ed ecco il pacchetto, colorato proprio come lo si immaginava.
Ricordo tante notti di Santa Lucia vissute invece da genitore, stessa emozione, stessa magia. Si disponevano dolci e lucette, si incartava il regalo nascondendolo dietro al divano, così per rendere il momento ancor più affascinante, poi a letto aspettando la Signora dei doni, Santa Lucia. Al mattino presto, un colpo di campanella e le emozioni di piccoli e grandi si intrecciano e si fondono nel salotto delle case veronesi. Gioia, stupore, felicità, riconoscenza, affetto si sciolgono nella scodella del latte caldo assieme ai biscotti.
Il giorno di Santa Lucia deve arrivare puntuale, inalterato nella sua dolce semplicità. Non deve essere ostacolato per nessun motivo, ma vissuto in quel clima familiare che rende la vita più bella.
A noi veronesi viene dato alla nascita uno zaino dove mettere, mano a mano, tutti quei sentimenti, quelle tradizioni, quegli oggetti, quei sapori, quei profumi, quegli odori che ci parlano in dialetto e che ti rassicurano ovunque tu vada. Santa Lucia ha, in questo zaino immaginario, un posto importante ed ogni 13 dicembre bisogna allentare la chiusura e permettere che esca, con tutta la sua magia, con tutta la sua fantasia, con tutta la sua veronese umanità.