I martiri della follia islamista che travolse l’Algeria 30 anni fa

Una mostra di Libreria Editrice Vaticana e Fondazione Oasis al prossimo Meeting di Rimini racconterà i 19 religiosi cattolici vittime dell’estremismo islamista

August 14, 2025

| DI Lorenzo Fazzini

I martiri della follia islamista che travolse l’Algeria 30 anni fa
«Un giorno una radio intervistò un piccolo Fratello di Gesù che viveva nella casa diocesana di Algeri. Erano gli anni delle violenze, il giornalista gli chiese: “Ma perché non lasciate l’Algeria? Siete in pericolo di morte!”. E quel fratello gli ribattè: “Non è perché sua moglie diventa pazza che lei la abbandona”». 
Mentre parla, gli occhi azzurri di Claude Rault, oggi ottantacinquenne, si illuminano di gratitudine: già vescovo della diocesi di Laghouat-Ghardaia, nel sud dell’Algeria, è stato per oltre 40 anni attivo nel Paese nordafricano e lì vescovo dal 2004 al 2017: la sua pluridecennale presenza in Algeria è memoria viva di un’esperienza segnata dal martirio. 
Chiamati due volte. I martiri d’Algeria: così si intitola la mostra che Libreria Editrice Vaticana e Fondazione Oasis presentano al prossimo Meeting per l’amicizia tra i popoli, a Rimini. Tra il 1992 e il 2001, il “decennio nero” che sconvolse l’Algeria in preda del terrorismo islamista, centocinquantamila persone persero la vita. Tra loro anche 19 religiosi e religiose cattolici, di diverse nazionalità, espressione di una piccola Chiesa, quella in Algeria, presenza di dialogo e di amicizia con la popolazione musulmana, una Chiesa rimasta accanto alla gente mentre infuriava la tormenta della violenza. 
Tra i martiri, riconosciuti beati dalla Chiesa nel 2018, figurano i sette monaci di Tibhirine, immortalati nel celebre film Uomini di Dio, che incantò nel 2010 il Festival di Cannes, e Pierre Claverie, vescovo di Orano, protagonista di un fatto di sangue che è simbolo e sostanza della vocazione testimoniale di questi credenti: morì il 1° agosto 1996 in un attentato in cui perì anche il suo amico musulmano Mohamed Bouchikhi. 
“Chiamati due volte” è un’espressione che esprime in pieno la realtà di questa presenza cristiana in terra islamica: «Il primo incontro di questi testimoni è stato quello con Cristo. E poi questo incontro con Cristo si è sviluppato in un incontro con l’alterità», spiega padre Thomas Georgeon, abate del monastero di La Trappe e postulatore della causa di beatificazione dei martiri. «I missionari erano in Algeria per Cristo. Avevano fatto la scelta di esser inviati in un Paese musulmano non per annunciare Cristo nel senso solito di missione, ma per renderlo presente in mezzo a questo popolo, in modo semplice». E infatti i religiosi e religiose in Algeria – anche dopo l’indipendenza nel 1962 e la nazionalizzazione di scuole e ospedali nel 1976 – si erano “reinventati” per essere «quella piccola luce di Cristo in Algeria», come si definiva Jean Chevillard, padre bianco che “per missione” era un semplice scrivano pubblico a Tizi Ouzou, dove il 27 dicembre trovò la fine insieme ai confratelli Christian Chessel, Alain Dieulangard, Charles Dickers. 
La semplicità di vita, e la radicalità del dono, accomunano la vita di questi testimoni: suor Odette Prévost lavorava nel centro diocesano Les Glycines; fratel Henri Vergés e suor Pau-Hèléne Saint-Raymond tenevano aperta la biblioteca Ben Cheneb nella capitale; suor Bibiane Leclerc aveva lavorato in una maternità a Costantine, ad Algeri insegnava cucito alle donne dei quartieri poveri; fratel Paul Favre-Miville, monaco di Tibhirine, prima di prendere i voti era idraulico: grazie alla sua competenza, allestisce un impianto di irrigazione nei campi del monastero. 
Organizzata in cinque sale, la mostra Chiamati due volte. I martiri d’Algeria presenterà una serie di video realizzati appositamente con varie interviste a persone coinvolte in prima persona nella vicenda e realizzate in Italia, in Francia e altrove. Saranno esposti diversi oggetti posseduti dai martiri: le vesti religiose di frére Christian de Chergé, l’abate di Tibhirine, e del vescovo Claverie, ma anche lettere e scritti, il rosario e i libri di preghiere, gli strumenti medici di frére Luc, il monaco di Tibhirine impersonato da Michael Lonsdale nel film di Xavier Beauvois
Ed è proprio il regista di Uomini di Dio, film che venne visto da oltre tre milioni di francesi e venne proiettato in 50 Paesi nel mondo, raccogliendo una messe enorme di riconoscimenti artistici, a sancire la decisività di uno dei documenti più preziosi che fondano la mostra, il testamento di Christian de Chergé, quel testo che per il cardinale Angelo Scola, già arcivescovo di Milano, è “una delle pagine più belle mai scritte nel ’900”: «Quello scritto esprime la forza del perdono. È un messaggio molto forte, in cui Christian afferma già prima di perdonare chi lo ucciderà – afferma Beauvois –.  Bisogna farlo leggere nelle scuole, questo testo, va messo nei libri di storia. Bisogna prendersi del tempo e leggerlo di tanto in tanto. Può far bene a tanta gente». 

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