“Pretestuosa e ideologica” la scelta di cancellare la festa di Natale per “rispettare” e non offendere le diverse tradizioni religiose dei bimbi che frequentano l’istituto di Rozzano. “Grottesco e ridicolo” il tentativo di camuffare il Natale sostituendolo con rassegne ed eventi titolate al “Biancoinverno”...
Rieccoci. Come ogni anno. Il Natale inquieta. Innesca polemiche, irritazione e proteste. “Pretestuosa e ideologica” la scelta di cancellare la festa di Natale per “rispettare” e non offendere le diverse tradizioni religiose dei bimbi che frequentano l’istituto di Rozzano. “Grottesco e ridicolo” il tentativo di camuffare il Natale sostituendolo con rassegne ed eventi titolate al “Biancoinverno”. Se queste le reazioni, sono altrettanto interessanti le controreazioni come – per esempio – recita il fondo del Corriere di Verona di martedì: “Contro lo strapotere delle organizzazioni religiose (…) la laicità sostiene valori forti e positivi. I vari credo religiosi alla fin fine dividono, la ragione parifica e fonda l’eguaglianza”. Per questo a Natale è necessario “il ruolo (decisivo) dei laici”.Ancora una volta il tema del rapporto tra religione e politica, tra appartenenza confessionale e convivenza civile, ritorna a infiammare gli animi. Certo se tocchi i simboli rischi di farti del male. Il simbolo parla agli occhi. È il linguaggio tipico del mistero. Ciò che la ragione non spiega.Ma la questione va oltre la decisione di fare o non fare il presepe a scuola. Da una parte, infatti, c’è il tentativo di confinare le religioni ai margini della rilevanza sociale perché divisive e pericolose per la salute pubblica, con la contestuale pretesa di fondare sul mito della laicità (ma quale laicità?) la convivenza plurale; dall’altra c’è il tentativo di addomesticare la fede a tradizione civile e di strumentalizzare le religioni come depositi di valori identitari.Antonio Polito nell’editoriale del Corriere della Sera di domenica scorsa scrive: “Pensavamo che la Storia stesse marciando in direzione della secolarizzazione. Invece la modernità ci si presenta densa di un senso religioso che non siamo più in grado di comprendere”.I cristiani dei primi secoli portarono due novità inimmaginabili per quel tempo. Innanzitutto a differenza di ciò che avveniva per altre religioni, il cristianesimo non coincise con un gruppo etnico (oggi come allora non ha un’identità specifica di natura linguistica o culturale ma la eccede). Esso ruppe i confini fissi del paradigma: una religione, un popolo, una razza. In secondo luogo quei cristiani garantirono allo Stato la partecipazione alla vita pubblica, il rispetto delle leggi, il pagamento dei tributi e la preghiera per l’imperatore. Reclamarono però libertà di coscienza e di fede. Fu il primo vero esempio di laicità: la distinzione tra la coscienza morale e il diritto.Martedì scorso in Gran Guardia si sono incontrati cristiani e musulmani per dire che è possibile costruire una città di pace e abbandonare le reciproche paure. Si sono riuniti per ribadire che è falso ritenere le religioni monoteiste per natura intolleranti, divisive e pericolose; per affermare che è falso il mito che la neutralità dello spazio pubblico (la laicità?) sia l’unica garanzia per la pace per tutti; per rifiutare ogni strumentalizzazione dei simboli religiosi per battaglie identitarie. La cultura del nostro Paese ha trovato nel cristianesimo “riserve di senso” e un “deposito di significati” condivisi e condivisibili non solo per la convivenza civile ma anche per una cultura inclusiva. Non dimentichiamocelo. Questa ci sembra l’umanità silenziosa e dirompente del bimbo di quel presepe.
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