Nella solennità della Pentecoste non possiamo non porre l’attenzione sul racconto dell’evento che ascoltiamo oggi nella prima lettura dal libro degli Atti degli Apostoli al capitolo secondo. E non è tanto la spettacolarità di alcuni aspetti del racconto che deve farci impressione, quanto piuttosto il suo significato più profondo con la trasformazione degli apostoli da paurosi e vili discepoli che fuggono all’arresto di Gesù, a coraggiosi testimoni del Signore risorto e da poveri pescatori della Galilea a testimoni della riunificazione di tutte le lingue della terra in un’unica lode per le grandi opere di Dio.Nel mistero della Pentecoste Dio continua a santificare la sua Chiesa. Egli effonde il suo Spirito per rinnovare il volto dell’umanità. La Pentecoste non appartiene al passato, è sempre attuale: non vi è assemblea liturgica in cui lo Spirito Santo non agisca, nell’ascolto della Parola, nella trasfigurazione dei doni eucaristici perché siano segno e memoriale del dono di Cristo, nella riconciliazione delle persone attraverso il reciproco perdono, nella testimonianza della vita nuova dei battezzati.Poniamo ora l’attenzione al Vangelo di oggi, che è l’unione di due passi di Giovanni ricavati dai “discorsi d’addio” di Gesù in cui ai discepoli sconcertati e preoccupati per la sua imminente partenza è promesso un altro Consolatore: “lo Spirito di verità” dono del Signore nel momento della sua esaltazione sulla croce, quando esala/dona il suo Spirito. I discepoli pertanto non saranno lasciati orfani: un altro Consolatore verrà a guidarli alla verità tutta intera, «perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito, e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,13). Qual è pertanto la missione dello Spirito Santo nella Chiesa, secondo l’evangelista Giovanni? Il compito principale dello Spirito, secondo quanto rivela Gesù stesso, è rendergli “testimonianza”, al punto che può essere chiamato “Spirito di verità”. Dato che Gesù è la verità stessa (cfr Gv 14,6), dire “Spirito di verità” equivale a dire Spirito di Gesù. È per questo che il Consolatore o Paraclito può guidare i discepoli e i futuri credenti alla Verità. Egli, infatti, «non parlerà da se steso, ma dirà tutto ciò che avrà udito». In altre parole lo Spirito non aggiungerà nulla alla rivelazione di Gesù e gli renderà testimonianza facendo comprendere che in lui la rivelazione di Dio ha raggiunto tutta la pienezza.Le molte cose di cui i discepoli non sono ancora in grado di portare il peso, saranno spiegate dallo Spirito. L’intelligenza della fede è il dono che farà ai discepoli, perché diventino anch’essi testimoni di Gesù “via verità e vita”, nel mondo e per il mondo. In ultima analisi la missione dello Spirito è allora quella di rendere attuali e intelligibili le parole di Gesù lungo tutta la storia della Chiesa e dell’umanità. Le lingue e le culture non saranno più un ostacolo o una barriera invalicabile, perché lo Spirito renderà la parola degli apostoli comprensibile a tutti gli uomini. Possiamo dire che Luca nel racconto della Pentecoste nel libro degli Atti degli apostoli ascoltato oggi nella prima lettura e Giovanni nel suo Vangelo ci trasmettono lo stesso messaggio di Gesù. Se vogliamo notare una differenza, nel racconto degli Atti è privilegiato l’orizzonte spaziale (“fino ai confini della terra” At 1,8) mentre l’orizzonte del quarto Vangelo è temporale e si stende sul futuro, abbracciando quelli che nel corso della storia crederanno. Così si esprime il Signore Gesù, nella preghiera innalzata al Padre prima della sua passione e morte in croce: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,20-21).Gesù prega per l’unità dei discepoli presenti e futuri, «perché il mondo creda che tu mi hai mandato». Questo è il primo e irrinunciabile segno che i credenti sono chiamati a dare al mondo e soprattutto per questo Gesù effonderà il suo Spirito su di loro. L’unità per la quale Gesù prega non è possibile agli uomini con le loro sole forze, ma è il “frutto dello Spirito” che – come scrive S. Paolo nella lettera ai Galati – è “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22).Possiamo ora riprendere il tema della testimonianza, alla quale abbiamo già accennato nel giorno dell’Ascensione, come mandato fondamentale del Risorto e reso possibile dal dono dello Spirito. Da quanto detto sopra non si tratta di una testimonianza generica e neanche soltanto di un discorso da ripetere come portatore di contenuti di verità da credere. La prima e fondamentale testimonianza è la vita personale e comunitaria dei cristiani, è l’amore reciproco non a parole ma con i fatti, come si esprime san Giovanni nella sua prima lettera.Solo l’amore è convincente, come già si esprimeva Tertulliano nel secondo secolo dell’era cristiana riportando un’espressione dei pagani nei riguardi dei cristiani (“vedete come si amano”) e che suscitava in loro un interrogativo serio. La nostra vita di cristiani oggi suscita ancora degli interrogativi seri nelle persone che incontriamo o la nostra esistenza è insignificante?