26 giugno 1966, mons. Giuseppe Carraro nella cattedrale di Verona ci ha fatto preti! Risalendo le scale della sagrestia al termine della cerimonia, un mio compagno, don Giovanni Zocca, disse ad alta voce: «Don Antonio diventerà parroco di questa cattedrale». E il vescovo rispose: «Può esser anche di più, basta che sia un prete umile e sempre legato ai superiori». Mi sono tornate più volte alla mente queste espressioni perché penso sia stata provvidenziale la risposta di mons, Carraro. La vicinanza con i superiori mi ha protetto da tante difficoltà.
Che cosa ricordo ancora di mons. Carraro? Tantissime cose: per esempio l’avermi fatto parlare ai vescovi di Piemonte e Lombardia (ero prete da solo due anni), oppure l’accoglienza che ha dato a mia madre in Vescovado, in un momento difficile della mia vita sacerdotale, grazie anche a mons. Franco Fiorio, che mi è sempre stato vicino. Ma ricordo specialmente la sua sapienza nell’incanalare la mia vivacità pastorale perché potessi servire l’uomo al meglio. Nel ‘66 non era facile per noi preti giovani seguire lo stile del Vaticano II perché la formazione avuta in seminario era troppo lontana dagli orizzonti nuovi che si presentavano davanti a noi. Penso che tutti noi dobbiamo ringraziare questo piccolo ma grande vescovo che ogni volta che tornava dalle sessioni del Concilio sentiva l’obbligo di rinnovare e rinvigorire la sua Chiesa con delle sintesi essenziali sui valori conciliari. In questo clima di forte spiritualità ecclesiale, con la centralità della Parola di Dio, dell’Eucaristia e della Madonna, con lungimirante creatività mons. Carraro fece nascere i primi centri di pastorale, attenti ai vari settori della vita: ragazzi, adolescenti e famiglie. Chiamò alcuni sacerdoti come mons. Guido Todeschini, il sottoscritto ed altri, dandoci piena fiducia e continuo sostegno non solo spirituale ma anche economico (famosa la sua mano destra che allungava a noi una busta della quale spesso non sapeva il contenuto).
E poi non mancava mai il confronto personale con lui. Alcune sue intuizioni per la pastorale degli adolescenti divennero patrimonio comune della nostra Chiesa e poi anche di tutta la Chiesa italiana (vedi Note di pastorale giovanile di quegli anni e i convegni nazionali dei giovanissimi di Azione Cattolica) e si possono così elencare nelle linee essenziali. Primo: partire sempre dal vissuto del ragazzo, dalle sue attività, affiancandogli la capacità di verifica dell’animatore adulto che vive la sua missione illuminato dal continuo confronto con la Parola di Dio. Secondo: portare i ragazzi a conoscere i testimoni della fede, non necessariamente preti o suore, capaci di parlare più con i fatti che con le parole. Terzo: far sentire ai soggetti che insieme, dentro un gruppo, è più facile crescere in libertà, formare la volontà, educarsi alla speranza e realizzare l’incontro con il Dio della vita. Quarto: per tutto questo è necessario che la pastorale sia vissuta non tanto in un ufficio ma in una casa, in un ambiente vivo dove il giovane adolescente può vivere in modo familiare queste esperienze. Per conto mio queste sono le grandi intuizioni che mons. Giuseppe Carraro ebbe nei confronti degli adolescenti e che poi ha trasportato in tutti i luoghi del suo essere pastore, vedi il Cifr, la Spal, i vari centri diocesani di pastorale, il Treno banco, il Vagone verde... Queste esperienze presuppongono lo stare insieme con l’amicizia e la gioia profonda che il Signore dona quando due o tre sono riuniti nel suo nome. Era una persona umana, con le sue fatiche – anche con noi preti – ma le ha sempre superate con la disponibilità all’incontro e con l’atteggiamento del padre buono che sa accogliere il figlio e renderlo più libero e più sereno.