Si può fare satira sulle religioni? Darsi dei limiti non è censura

È riguardo alla dimensione religiosa di ogni credente che è costitutiva della sua stessa identità personale

January 24, 2015

| DI Maurizio Pedrazza Gorlero

La strage nel parigino Charlie Hebdo da parte di fondamentalisti islamici ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica occidentale il tema della libertà di espressione, un diritto umano che nella democrazia costituzionale scorre come sangue nelle vene del corpo politico, animando i singoli e le comunità. La libertà di pensiero nell’ordinamento italiano, in sintonia con i principali Atti internazionali di protezione dei diritti dell’uomo, è garantita a tutti con ogni mezzo di manifestazione e di diffusione e con qualsiasi contenuto che non sia lesivo dell’onore, della reputazione, dell’identità, della riservatezza delle persone e, in generale, di valori costituzionali parimenti degni di tutela. Quindi anche con la satira, ossia con la critica radicale della politica e dei suoi attori, condotta nel rischio continuo (connaturato e, a volte, consapevolmente perseguito), di superare i propri limiti. Attività diretta ad influenzare l’opinione pubblica e, come tale, temuta e contrastata dai detentori del potere. Ma a Parigi è andata in scena una vicenda che ha suscitato l’interrogativo sui limiti che l’espressione satirica incontra quando il suo oggetto abbia natura religiosa. Soprattutto se la religione sia l’Islam, minoritaria ma quantitativamente consistente, non secolarizzata e in rete con poteri politico-religiosi di Stati nei quali è maggioritaria. Più specificamente, si può ironizzare sul Profeta? E comunque era opportuno farlo nel contesto francese, nel quale la sensibilità religiosa si accompagna a (e spesso maschera) un acuto problema di integrazione socio-culturale? Occorre aver presente un carattere proprio delle religioni come dottrine di salvezza: la differenza religiosa è specifica, radicale e definitiva; è costituita cioè attorno ad un senso peculiare del mondo che esclude tutti gli altri. Il cristiano che adotta il percorso di salvezza cristiana non può ammettere l’intersezione del suo con altri percorsi, anche se di questi accetta e rispetta l’esistenza. Ciò fa sì che la dimensione religiosa attragga a sé l’identità personale del credente fino a divenirne costitutiva molto più di quanto non riescano le relazioni sociali, politiche ed economiche, le quali invece non possono escludere di subire falsificazioni. La satira che riguardi la relazione religiosa tormenta, dunque, un nervo scoperto dell’identità personale ed è bene che di ciò sia consapevole chi se ne fa artefice. Non a fini di censura, ma di riguardo nei confronti del deposito di fede che ogni credente custodisce entro di sé come nucleo assorbente della sua complessa figura umana. Vi provvede anche lo Stato attraverso la garanzia dell’eguaglianza e della libertà, che confinano fuori della pacifica convivenza la sottomissione e l’esclusione, cioè le regole forzose, interna ed esterna, di ciascuna fede religiosa. Con la laicità, quindi, che tutela il pluralismo senza rendere deserti di simboli e di espressioni religiose gli spazi pubblici per non urtare le differenti sensibilità. Non ha senso, infatti, estromettere da quegli spazi le identità religiose che si sono sedimentate storicamente e che nel corso dei secoli hanno delineato la fisionomia di luoghi e di popoli, per far posto a nuove identità accolte da quei luoghi e da quei popoli. La vera laicità si realizza perciò non togliendo crocifissi e impedendo alle donne di portare il velo, ma consentendo che nel luogo nel quale è appeso il crocifisso sieda anche la donna che indossa il velo. In conclusione, bisogna, da un lato, rispettare i convincimenti religiosi di ciascuno, e, dall’altro lato, garantire la libertà di espressione di tutti. Un giudizio di opportunità che negasse l’una e l’altra esigenza allo scopo di evitare conseguenze dannose alla vita e alla integrità delle persone, finirebbe per dichiarare esistente una guerra interna per motivi di religione che la civiltà moderna e la Costituzione italiana hanno espressamente rifiutato.

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