Dopo aver ascoltato la proclamazione delle beatitudini (Matteo 5,1-12), ed aver evidenziato il rapporto tra i discepoli e il mondo facendo ricorso alle immagini della luce e del sale, il Vangelo di questa domenica ci fa addentrare nel corpo del “discorso della montagna” affrontando la questione del rapporto tra la Prima Alleanza e l’Alleanza definitiva in Gesù.L’evangelista Matteo era notoriamente molto interessato alla relazione che intercorre tra tradizione e novità evangelica poiché si rivolgeva a comunità siro-palestinesi in cui era molto diffusa la presenza di cristiani provenienti dal giudaismo. In tale contesto, il dibattito in merito al se e quanto poteva essere tralasciato delle prescrizioni rabbiniche aveva dato vita a contrapposizioni anche accese tra fazioni di tradizionalisti, piuttosto rigidi e incuranti delle istanze del presente in nome di una pretesa custodia del passato che rasentava il legalismo, e innovatori, inclini a tenere conto dei mutamenti culturali e disposti con un po’ di leggerezza a sorvolare su alcuni aspetti della tradizione. Allora come oggi la comunità cristiana si trova a far i conti con il fragile equilibrio tra custodia del patrimonio del passato e spinta di rinnovamento.Gesù, pertanto, inizia il suo discorso cercando di fare chiarezza: la sua intenzione è quella di collocarsi in assoluta armonica continuità con la Legge e con quanto detto dai profeti. Egli non è venuto per eliminare alcunché, bensì per dare compimento, per portare alla pienezza. Questa è la novità dell’insegnamento che il Maestro offre: la ritualità formale e l’osservanza minuziosa dei precetti svolta con attenzione all’esteriorità, che l’evangelista pare attribuire a scribi e farisei, non sono sufficienti. Gesù a coloro che si mettono al suo seguito chiede di più: la giustizia predicata deve essere osservata ma soprattutto vissuta; la Legge necessita di essere compresa nel profondo, di non fermarsi alla dimensione letterale, cercando di comprendere il cuore della disposizione al fine di conoscere di più il legislatore che l’ha posta, Dio.Ecco, allora, il senso degli esempi che Gesù espone e che riguardano il non uccidere, l’adulterio, il ripudio e lo spergiuro. Tali casistiche, solitamente chiamate antitesi, non sono da intendere come affermazioni volte a sottolineare la dimensione di presa di distanza di Gesù nei confronti di quanto affermato nell’Antico Testamento, bensì hanno una valenza quasi rafforzativa che porta a intensificare quanto affermato in precedenza. Veramente un credente può pensare che Dio si limiti a chiedergli di non spargere sangue per potersi sentire nel giusto? Gesù va oltre e afferma che anche lasciarsi vincere dall’ira insultando, annientando con le parole un fratello può portare al desiderio di soverchiare l’altro: non si uccide quando si controlla l’aggressività, quando si tiene a freno la lingua, perché anche le parole possono ferire molto. La relazione e la riconciliazione con Dio non può essere qualcosa di separato rispetto al rapporto vero e sincero tra fratelli. Allo stesso modo, rispetto all’adulterio Gesù pone l’accento sul desiderio che dimora nell’intimo dell’umano e che talvolta conduce a considerare l’altro come oggetto di possesso: lasciarsi sopraffare dalle pulsioni anche se non conduce a commettere peccato, porta a una mancanza di fedeltà del cuore che in fondo non si discosta poi così tanto dall’adulterio stesso. Infine, arriva l’invito a parlare responsabilmente: Gesù incalza a non giurare e quindi a non chiamare Dio a testimone di quanto si afferma: se la parola è limpida, trasparente, veritiera non ha bisogno di garanti esterni. Il vero credente è colui che non pensa a Dio come a qualcuno al suo servizio pronto a intervenire a chiamata per avvalorare tesi o smascherare menzogne. Il discepolo è autentico nei gesti e nelle parole, senza tentennamenti nel dire sì oppure no.Questa è dunque la parola di Cristo, non una nuova legge, ma la Legge letta e vissuta nel cuore, secondo la volontà di colui che l’ha posta in essere. E ad affermarla con autorità indiscutibile non poteva che essere suo Figlio.