Anche se siamo ancora nel contesto delle contese che segnano la parte finale della vita di Gesù, tuttavia nel vangelo di oggi non compaiono i soliti protagonisti che abbiamo incontrato nelle scorse domeniche: i capi dei sacerdoti, gli anziani del popolo, i farisei, gli erodiani, ma Gesù si rivolge alla folla e ai suoi discepoli per ritornare poi, in un secondo tempo, a rivolgersi direttamente ai farisei. L’intervento di Gesù nel vangelo di oggi può essere diviso in due parti: quella rivolta alla folla ed ai discepoli (è il vangelo di questa domenica) e quella rivolta direttamente ai farisei; e il discorso diretto alla folla ed ai discepoli riguarda da vicino la vita della comunità cristiana, perché tratta di aspetti che si devono evitare o di comportamenti che devono caratterizzarne lo stile di vita. Il punto di partenza è la critica all’ipocrisia come atteggiamento che squalifica il ruolo, pure riconosciuto da Gesù legittimo, dei farisei come riferimento essenziale per conoscere e seguire la strada che porta a Dio. Il loro il ruolo non è contestato– “sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei” (è una costatazione tutto sommato positiva) – essi sono guide autorevoli del popolo ebraico, essi sono l’autorità riconosciuta ed il loro insegnamento riguardo alla Legge non va disprezzato, per cui il loro ruolo in questo caso non è sminuito o denigrato. Ciò che crea grave problema è il loro atteggiamento vitale: predicano bene, ma si comportano male, pertanto Gesù non ritiene i farisei degli impostori o dei maestri falsi, perché le cose che insegnano vanno osservate, ma è il loro modo di vivere che scredita la loro testimonianza, pure legittima. Non vivono ciò che annunciano e pretendono dagli altri ciò che nemmeno loro riescono a vivere completamente. La loro ipocrisia consiste nell’eccesivo rigore nel pretendere di osservare minuziosamente i precetti della Legge, facendone un assoluto e un vanto senza lasciarsi convertire il cuore dall’amore di Dio per cui un’osservanza esteriore e formalistica delle norme si sostituisce al fine per cui sono stato dati questi precetti, che è l’amore di Dio, vivono nella presunzione di salvarsi con l’osservanza rigorosa della Legge, senza fare riferimento alla grazia di Dio mediante la quale simo fatti creature nuove e per la quale possiamo fare il bene. Nella parabola del fariseo e del pubblicano che pregano al tempio possiamo veder come il comportamento ipocrita porta addirittura a sostituire il proprio giudizio verso il prossimo al giudizio di Dio. Al grave limite dell’ipocrisia Gesù aggiunge un altro limite all’efficacia della testimonianza dei farisei: la vanità e la superbia – quella che papa Francesco chiama il pavoneggiarsi – che si traduce nel ricercare l’ammirazione della gente, nello sfoggio di particolari ornamenti nelle vesti (frange e filatteri), il pretendere posti d’onori nella società: nei banchetti e nei saluti servili; possiamo concludere che questi comportamenti - l’ipocrisia e la vanità, - recano grave pregiudizio alla validità stesso dell’insegnamento, pure giusto, che pretendono di impartire agli altri. Dopo le raccomandazioni fatte alla folla ed ai discepoli di non imitare i farisei nella contradditorietà del loro comportamento, Gesù aggiunge una parte del suo monito che potremmo chiamare di insegnamento costruttivo. Sottolineiamo l’invito a non farsi chiamare “rabbi” cioè maestri, riconoscendo così la dimensione relativa, di creatura, della propria persona e a riconoscere che uno solo è il maestro e noi siamo tutti fratelli, ponendo Dio al centro della nostra vita e di quella degli altri, riconoscendo che il perno fondamentale dell’esistenza è solo lui. Come sempre, dato che il vangelo è scritto per le comunità cristiane, possiamo ora domandarci: “quale messaggio di Gesù voleva trasmettere Matteo nello scrivere gli insegnamenti che oggi abbiamo letto nell’assemblea eucaristica?” È evidente il riferimento non solo ai farisei, quali avversari storici di Gesù, ma anche a qualsiasi autorità che nella Chiesa ha il compito di trasmetter la Parola di Dio: vale per tutti l’invito pressante a conformare la propria vita al messaggio che annunciano, per evitare il pericolo di sminuirne la credibilità con uno stile di vita che contraddice il Vangelo. E dato che l’intera Chiesa è realtà che annuncia il Vangelo sia nei pastori che nel gregge unito a loro, possiamo dire che ogni cristiano è chiamato a confermare con la vita la Parola che annuncia e in particolare nella nostra Italia, dove la parrocchia ha ancora un peso rilevante nel portare avanti la pastorale a contatto con il popolo, è proprio nell’ambito parrocchiale che siamo chiamati a testimoniare questa unione profonda tra Parola e vita, tra fede e pratica cristiana.