Nel più grande lago italiano la fauna ittica ha per secoli rappresentato una risorsa fondamentale: sostentamento per le comunità rivierasche, materia prima per la gastronomia locale e pilastro invisibile dell’equilibrio naturale. Il lago di Garda è stato uno scrigno ricco di specie autoctone e animato da una fiorente attività di pesca.
Peschiera del Garda, per esempio, era nota per le sue “peschiere” – da cui il nome stesso del paese – ovvero stazioni di pesca fisse che garantivano il sostentamento della cittadina. A Garda operava una nutrita comunità di pescatori professionisti, la cui cooperativa con punto vendita ha chiuso i battenti non molti anni fa. Tutti i paesi affacciati sul bacino, bene o male, avevano la loro piccola flotta, reti e tradizioni. La pesca era intensiva, ma anche rispettosa degli equilibri naturali.
Cosa resta attualmente di questo mondo? Oggi, il delicato ecosistema lacuale si trova indubbiamente ad affrontare molte più difficoltà che un tempo per mantenere viva e attiva questa biodiversità. Le cause sono molteplici e non sempre facilmente individuabili: fattori ambientali e antropici si uniscono in sinergia, riducendo le aree di frega e il canneto e quindi la capacità riproduttiva delle diverse specie. Nel frattempo, si sono inserite specie aliene che hanno contribuito nel tempo alla disarmonia ecosistemica.
Negli ultimi tre anni, il coregone ha registrato un calo del 70% nel pescato, secondo i biologi. In risposta, nel maggio 2025 sono stati immessi nel Garda oltre 5mila piccoli carpioni, frutto di riproduzione in cattività.
Ne parliamo con Filippo Gavazzoni, amministratore a Peschiera del Garda con delega – tra le altre – alla tutela del lago ed esperto di ittiofauna gardesana, nonché vicepresidente della Comunità del Garda. «Le specie un tempo abbondanti – afferma con lucidità – come l’anguilla del Garda, oggi sono oggetto di divieto di pesca e consumo a causa della contaminazione, ormai attivo da quasi 15 anni. Anche l’alborella (o aola) ha visto un crollo drastico dei numeri dai primi anni 2000, imponendo un fermo pesca tuttora in vigore. La trota lacustre è ormai rara e il carpione, endemico del Garda, rischia l’estinzione definitiva».
Una memoria familiare restituisce il senso della perdita: «Interessante ed emblematico in questo senso è un ricordo di mio zio Bruno: da piccolo, primi decenni del ’900, assisteva alla pesca delle trote lacustri, con le reti, dal Ponte San Giovanni sul Canale di Mezzo a Peschiera del Garda. Il ponte si colorava di rosa dalle tante uova che vi si riversavano una volta issate le trote e scaricate sul selciato in legno del ponte; oggi è fantascienza solo pensarlo».
Gavazzoni sottolinea inoltre la scomparsa di molti altri piccoli pesci come vairone, sanguinerola, cobite, spinarello e gamberetto: un’intera biodiversità oggi rarefatta.
A rendere più complicato un ritorno alla varietà di pescato sul territorio gardesano, la mancanza di una vera promozione gastronomica di tali prodotti: «Il territorio parla già con voce autorevole grazie a Lugana doc, Bardolino, Valtenesi e Olio del Garda dop, ma resta silente sul fronte dei prodotti ittici. Fino a pochi anni fa il Garda sembrava destinato a essere un grande allevamento di coregone lavarello, pescato perché vendibile – mentre l’alleanza tra ripopolamento e rinaturalizzazione veniva trascurata».
Per Gavazzoni non si tratta di rimpiangere il passato, ma di impostare una visione globale e lungimirante. La vera svolta, afferma, «è la rinaturazione degli habitat: rigenerare zone di frega e protezione può restituire al lago una biodiversità capace di sostenere ambiente, turismo, commercio e gastronomia».
A luglio, le Regioni Veneto, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento hanno finanziato un progetto da 570mila euro, coordinato dall’Università dell’Insubria, per monitorare fauna ittica e habitat, e studiare soluzioni concrete di tutela e ripopolamento. Ma «le istituzioni – oltre alle regole già attive, come i nuovi corsi unici di pesca, possono fare ancora molto per sostenere progetti di medio-lungo periodo ed è importante che agiscano in tempi consoni e con cognizione di causa».
«Il Garda – conclude Gavazzoni – ha ancora carte importanti da giocare: qualità delle acque buona, resilienza climatica, una rete economica e gastronomica che ha le giuste potenza e capacità per valorizzare il pescato locale. Con misure concrete, può diventare un modello europeo di lago sostenibile, ricco di biodiversità e cultura».