La Chiesa ha sempre letto con grande attenzione e interesse l’incontro, narrato dall’evangelista Giovanni, tra Gesù e un uomo cieco dalla nascita. I motivi sono sostanzialmente tre: il miracolo della guarigione del cieco; la presenza di un tema che da sempre interroga l’uomo, ovvero l’opposizione tra le tenebre e la luce; l’utilizzo in chiave catechistica e pedagogica sia del segno operato da Gesù sia del dibattito che ne segue.Questo mirabile racconto è stato inoltre abbondantemente spiegato e interpretato da numerosi esperti dei testi sacri, e la Chiesa ne ha fatto ampio uso durante il “catecumenato”, ovvero il percorso per diventare cristiani, in auge soprattutto dal terzo al quinto secolo. L’itinerario catecumenale era strutturato come una sorta di “via maestra” per accompagnare gli adulti e i giovani che desideravano diventare cristiani. Il percorso era impegnativo, articolato e durava mediamente tre anni, arricchito da prove, verifiche e incontri, per testare il reale cammino di crescita nella fede del candidato alla vita cristiana. Si leggevano pagine di Vangelo adatte allo scopo, tra cui il miracolo del cieco nato. Solo al termine e dopo attenta verifica, il candidato poteva ricevere il Battesimo e, contestualmente, la Cresima e l’Eucaristia nella Veglia pasquale.Il miracolo di Gesù è raccontato dall’evangelista in poche righe. L’iniziativa di incontrare il cieco è soltanto sua. Subito però si scatena la domanda sulle cause di tale handicap. I discepoli dibattono su un’antica convinzione: la malattia è la diretta o indiretta conseguenza del peccato di una persona o di chi l’ha generata. Diversamente dai discepoli, interessati soltanto a questo problema teologico, Gesù guarda all’uomo nella sua situazione concreta, unicamente preoccupato di affermare il vero significato della malattia: non è segno di maledizione, ma occasione di salvezza e, al contempo, un’esperienza in cui si manifesta l’azione di Dio. Intende precisare non l’origine della sofferenza, ma il significato che essa assume nel piano divino.Dopo la breve narrazione del miracolo, ecco la parte più importante, ovvero un altro dibattito che esso suscita. Con un ritmo alquanto rapido si susseguono diversi interrogatori: il cieco messo sotto investigazione prima dalla folla e poi dai farisei; i suoi genitori messi sotto torchio dai giudei; il cieco nuovamente interrogato da questi ultimi. Le disquisizioni hanno il compito di far uscire allo scoperto le diverse posizioni e reazioni di fronte a Gesù: perplessità, incertezza e opposizione riguardo alla sua identità, ottusità nel negare il miracolo. Si nega pure che si tratti di un miracolo che viene da Dio, dal momento che è stato fatto violando il giorno di sabato, e quindi in uno stato di peccato. In contrasto e in opposizione con la progressiva ottusità e cecità dei farisei, che presumono di avere la verità in tasca, il cieco, riconoscendo Gesù come profeta e inviato di Dio, si riempie di luce interiore. Egli, dopo essere stato scomunicato ed espulso dalla sinagoga, viene nuovamente raggiunto da Gesù. A questo punto l’uomo guarito professa la sua fede nel Messia, dicendo «Credo» e prostrandosi ai suoi piedi. Condensa in una parola e in un semplice gesto tutta la sua riconoscenza per il dono della salvezza che l’ha raggiunto.