“L’uomo nasce barbaro, e si redime dalla bestialità coltivandosi. La cultura è quella che fa gli uomini, e tanto meglio quanto più è grande. Grazie ad essa la Grecia poté definire barbaro tutto il resto dell’universo. L’ignoranza è quanto mai rozza. Non v’è cosa che coltivi l’ingegno più del sapere”. È una riflessione del 1647 del grande gesuita spagnolo Baltasar Graciàn ed appare di una attualità sconcertante di fronte agli ultimi eventi che hanno colpito Mosul: la distruzione da parte dell’Isis dei reperti archeologici all’interno del museo della città irachena e sul sito dell’antica Ninive. Cinque minuti e due secondi per azzerare la memoria della civiltà umana, tre millenni di storia spazzati via in pochi istanti, documentati da un agghiacciante video. Un branco di barbuti del cosiddetto Stato islamico frantuma con vandala ossessione statue, busti e rilievi del grandioso impero assiro e dell’età partica e sassanide, un patrimonio di valore inestimabile, come il grande toro alato assiro del IX secolo a.C., un “lamassù”. I lamassù, mostri alati con corpo di toro o leone, erano spiriti benefici posti all’ingresso dei palazzi. «È un crimine di guerra, una pulizia culturale», denuncia Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco, che non è riuscita a guardare fino in fondo il video della furia iconoclasta. E poco importa che alcune statue distrutte fossero copie in gesso di originali che, per fortuna, sono custoditi al Museo iracheno nella capitale e all’estero. Ciò che importa è che questa violenza del fanatismo religioso è dovuta, purtroppo, anche all’ignoranza. E, come sosteneva Graciàn quasi quattro secoli fa, l’uomo si può redimere “dalla bestialità coltivandosi”. La grandezza degli uomini e dei popoli, infatti, si misura sulla cultura che possiedono: quanto più ne acquisiranno tanto più saranno grandi. Chi si innamora del sapere può coltivare al meglio il suo ingegno. Non abbiamo altre strade per fronteggiare la rozzezza dell’ignoranza. Per questo, per la nostra impotenza, vedendo quel filmato che in pochi minuti ha fatto il giro del mondo, abbiamo provato paura. Dovremmo solo scandalizzarci, indignarci per la distruzione di statue trimillenarie. In fondo sono solo pezzi di pietra e non soffrono come i prigionieri torturati e uccisi; non dovrebbe succedere che la loro distruzione desti uno sgomento simile o perfino superiore a quello dell’assassinio di un essere umano. Eppure succede: tanta violenza ci spaventa. Sono, quei pezzi di pietra, stratificazioni di innumerevoli vite umane; sono simboli della storia umana tutta intera, sono ciò che i millenni ci hanno consegnato intatto. E ci appare con terribile evidenza – facendoci paura – la furia, la bestia che alberga in questi uomini vestiti di bianco e nero. Vestiti di ignoranza. Siano tifosi olandesi o musulmani integralisti, il vandalismo si manifesta non appena si liberi la bestia che ci dorme dentro. La bestia è uscita anche in passato: le immagini di Mosul ricordano la furia dei talebani nel 2001 contro i Buddha di Bamiyan costruiti tra il III e il V secolo d.C. in Afghanistan. Ma più recentemente, l’estate scorsa, è stato ancora l’Isis ad abbattere a Mosul la tomba e la moschea di Giona e poi i sepolcri di Daniele e Seth e il mausoleo di San Giorgio. E tutto accade sempre sotto i nostri occhi perché tutti gli efferati atti dell’Isis cercano spasmodicamente l’effetto mediatico. Le martellate alle statue di Mosul vogliono scioccare come le esecuzioni e colpire l’immaginario occidentale. Sono mosse dall’odio, quelle martellate, e si odia sempre ciò di cui si ha terrore: la civiltà (qualunque civiltà). Questi miserabili ignoranti fanatici non possono che odiare la civiltà, e sognarne la distruzione, tale e tanta è la sproporzione tra essa e loro. Non lo sdegno, non la condanna del mondo, non le armi, ci salveranno dall’odio. Solo la cultura.