“Patto sul clima, il mondo applaude”: così titolava domenica 12 un quotidiano nazionale. Avaaz – la community di petizioni on line su temi internazionali – salutava come sua (?) vittoria il raggiungimento dell’accordo. Lo stesso presidente Hollande, rivolgendosi ai ministri e rappresentanti dei diversi Paesi presenti alla Cop21 aveva usato parole enfatiche: «Non capita spesso nella vita di avere l’opportunità di cambiare il mondo, voi oggi avete quest’opportunità».
Parecchi siti web – ed anche diversi quotidiani del lunedì (magari dopo aver letto l’accordo... un testo di 31 pagine) – invitano però ad una maggiore prudenza. Chi ha ragione?
Un accordo pesante. Non c’è dubbio che il Paris Agreement per il contrasto al mutamento climatico costituisca un risultato importante. Una comunità internazionale lacerata da tensioni geopolitiche, economiche ed identitarie – e riunita nella sede di gravi recenti attentati – riesce a raggiungere una convergenza su un punto determinante per la famiglia umana. “Il mutamento climatico è un impegno comune del genere umano”: questo sarà sottoscritto il 22 aprile 2016 a New York.
Di più, l’accordo coinvolge 195 Paesi – assai più che il Protocollo di Kyoto, che ha regolato la mitigazione del mutamento negli anni passati – e muove da assunzioni eticamente importanti. In nome dello sviluppo sostenibile, della giustizia climatica, dello sradicamento della povertà, della tutela della sicurezza alimentare, della biodiversità e dei diritti delle popolazioni colpite dal riscaldamento globale, ci si impegna a limitare l’aumento di temperatura a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali e anzi possibilmente a 1,5. Già la sola convergenza su cifre tanto ambiziose di una coalizione così vasta – impensabile anche solo un anno fa – ha un peso, anche per le scelte degli operatori economici, verso una graduale fuoriuscita da un’economia basata su combustibili fossili.
I dubbi, però – specie nella comunità scientifica – non mancano. Il testo dell’accordo è povero di numeri e di impegni e si limita sostanzialmente a rimandare agli Indc (gli impegni di riduzione delle emissioni climalteranti assunti prima di Cop21 dai vari Paesi). Essi sono basati su principi di equità e di responsabilità comune e differenziata, ma – sottolinea lo stesso accordo – anche su una valutazione delle proprie capacità da parte di ogni soggetto.
Lo stesso testo nota, però, che al momento il loro effetto previsto è ben lontano dal condurre ad un contenimento entro 1,5 gradi ed anche per restare entro i 2 saranno necessari in futuro riduzioni assai più drastiche nelle emissioni. Purtroppo tale riconoscimento non si traduce in impegni formali a futuri tagli, ma solo nel rimando a futuri incontri (ed è importante che esse siano previste, come occasioni per rafforzare gli impegni). Anche per la disseminazione di tecnologie a basso impatto carbonico ai Paesi in via di sviluppo si parla sì di un fondo da 100 miliardi di dollari, ma non si esplicitano le modalità di realizzazione di tale impegno da parte dei Paesi sviluppati.
Siamo lontani, insomma, dalle speranze della comunità ambientalista ed anche dalle forti indicazioni di papa Francesco nella Laudato si’. Possiamo solo tirare un piccolo sospiro di sollievo: la macchina internazionale dei dialoghi e degli accordi non si è bloccata; resta aperta la strada per futuri risultati più significativi.