Con la prima domenica di Avvento comincia il nuovo anno liturgico. Assistere ad un inizio contiene in sé sempre qualcosa di buono: lontano dalla dimensione della ripetizione sterile, a partire dalla condizione in cui ciascuno si trova – sia essa di noia, di tristezza, di delusione, di riflessione… – si ha la possibilità di ricominciare, di vivere il presente con lo sguardo di colui che cerca di guardare più in là. Ecco, quindi, che in questa domenica di avvio il Vangelo che ci viene proposto pone nel suo incipit un riferimento alla venuta futura del Figlio dell’uomo. Sebbene non sia dato a nessuno di conoscere quando avverrà, tale venuta è data per certa, e ne consegue, perciò, che ciascun credente vive nell’attesa. Al giorno d’oggi capita spesso di essere di corsa, intenti ad ottimizzare tempi e produttività, a “fare tante cose” il più velocemente possibile; pertanto, l’attesa viene percepita come un tempo inutile, perso. Quello dell’attesa, però, è un tempo diverso: un tempo che, sebbene accada nel presente, trova senso, sostanza e significato in virtù del futuro a cui è rivolto. L’aspettare di adesso è un’occasione per immaginare, preparare e sperare ciò che verrà: l’attesa è quella soglia tra l’oggi e il domani, tra la storia e la venuta del Regno di Dio. Gesù ammonisce i discepoli ad essere attenti, a non fare come i contemporanei di Noè che, di fronte all’imminenza del diluvio, non si accorsero di nulla: non tanto perché erano malvagi, peccatori o empi, ma semplicemente perché erano inconsapevoli, non avevano coscienza di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, nonostante quanto detto e fatto da Noè. Volendo provare a tradurre con un’immagine questa condizione, si potrebbe dire che, nell’ottica di Gesù, i contemporanei di Noè sono annegati nella banalità del quotidiano, facendo diventare il presente il loro tutto, vivendo ogni giorno senza alzare lo sguardo, così da divenire ciechi, incapaci di guardare oltre e quindi inconsapevoli. Implicitamente Noè viene presentato come colui che, grazie alla sua confidenza con il Signore, è riuscito a guardare il presente con gli occhi di Dio, a vedere al di là e in profondità nell’oggi. Cosa fare, dunque? Come stare nell’attesa? Vivendo i tre imperativi che il Vangelo riporta: «Vegliate», «Cercate di capire», «Tenetevi pronti». Vegliare è il verbo che si utilizza per indicare lo stare desti mentre altri dormono, implica la capacità di mantenersi svegli, attivi e recettivi. Al contempo, però, vegliare non equivale a lasciarsi catturare da un attivismo esagerato che spesso crea ansia o timore di non essere all’altezza delle aspettative; significa piuttosto cercare di tenere alta l’attenzione per cogliere i segni della presenza del Signore, per immaginare giorni nuovi e divenire portatori di speranza nella quotidianità.L’esortazione «Cercate di capire» che Gesù rivolge ai suoi equivale a dire “state nella consapevolezza”, ossia mantenete un comportamento opposto rispetto a quello dei contemporanei di Noè, perché ciò che travolge e fa annegare non è il desiderio di andare in profondità, ma il vivere restando in superficie, soffocati da gesti e parole banali.Non resta, infine, che tenersi pronti, restare in allerta continuando a vivere ciascuno il proprio quotidiano, illuminandolo di una luce nuova, sottraendolo all’abitudine e alla consuetudine, perché chi crede sa che il Figlio dell’uomo verrà ed è questa certezza che permette di dare sapore e vigore alla vita.Buon tempo di attesa!
Illustrazione: Luca Palazzi