Fece molto scalpore la dichiarazione rilasciata da Margot Wolk all’età di 95 anni nel 2007: dal 1944 al crollo del regime nazista, era una delle donne pagate per pregustare i pasti che sarebbero stati serviti a Hitler. Da questo episodio, Rosella Postorino ha scritto un romanzo con il quale ha vinto il Premio Campiello nel 2018. Romanzo che ha fatto da base alla sceneggiatura del film Le assaggiatrici di Silvio Soldini.
Protagonista è Rosa Sauer che da Berlino si trasferisce a casa dei suoceri in attesa del rientro del marito dalla campagna di Russia. Un giorno viene prelevata dalla sua abitazione (e, come lei, altre sei donne) per andare vicino alla “tana del lupo” (il quartier generale del Fuhrer) con il compito di assaggiare le pietanze destinate alla tavola del dittatore tedesco. Su questa routine, non mancano storie d’amore e momenti tragici, che si intrecciano agli eventi catastrofici della Guerra Mondiale fino allo sbarco degli americani e alla fine del Terzo Reich.
Se l’idea nata dal romanzo poteva essere davvero buona, nella sua realizzazione finale il lungometraggio non risulta particolarmente brillante.
Innanzitutto il cibo, secondo la dieta rigorosamente vegetariana osservata da Hitler, ha pochissimo spazio e, praticamente, quasi non si vede: scelta almeno discutibile visto che fin dal titolo ci si aspetterebbe che le pietanze occupino una parte importante nella storia.
Un secondo elemento un po’ debole è la caratterizzazione delle sette donne e dei militari nazisti. La scelta di stereotipare un po’ (troppo) tutte le personalità e i comportamenti rende molto prevedibili quelli che, probabilmente, dovevano risultare come colpi di scena. Dalle diversità delle protagoniste (la “filogovernativa”, la “ribelle”, la “misteriosa”, e via dicendo) ai nazisti che, pur in una situazione fuori contesto e non particolarmente utile alla narrazione, però trovano una persona di origini ebraiche da eliminare a sangue freddo. Ma la cosa che più di ogni altra risulta inverosimile è il clima di serenità con cui le protagoniste si espongono quotidianamente al rischio di morte.
Una nota che sorprende piacevolmente, in ultima, è la scelta della fotografia di ritrarre a tinte buie e fosche (con poca luce calda) la vita privata di Rosa e a colori accesi (anche se, negli interni, sempre con luce fredda) le scene dove i militari nazisti sono presenti: una contrapposizione che crea una sorta di suspence. La vita privata destinata a restare in penombra perché non si può mai sapere cosa potrebbe succedere e i fautori di una dittatura militare senza scrupoli che possono agire indisturbati alla luce del sole.