Una candidatura all’Oscar 2024 come miglior film internazionale decisamente meritata quella di Perfect days. La sceneggiatura, scritta a quattro mani dal regista Wim Wenders e dal produttore giapponese Takuma Takasaki, ha dato vita a una storia di straordinaria bellezza pur raccontando una routine ordinaria, per non dire quasi noiosa. Protagonista è Hirayama, un uomo di poche parole che abita da solo nella periferia di Tokyo. Vive ogni giorno quasi come stesse eseguendo un solenne cerimoniale. Lettore accanito, appassionato di musica anni ‘60-70 ascoltata rigorosamente su audiocassette con il mangianastri della sua automobile, svolge con passione e precisione il suo lavoro di uomo delle pulizie dei bagni pubblici del quartiere di Shibuya. Appassionato di fotografia su rullino, sprovvisto di smartphone, amante delle piante. È sereno e in pace con il mondo, non perché abbia avuto una vita facile (da quel poco che si riesce a conoscere della sua storia, si può intuire che fatiche e dolori non gli sono mancati), ma perché si è rappacificato con il suo passato. Sono gli incontri imprevisti e le relazioni costruite gli elementi che riescono a rendere uniche le giornate, che sembrano apparentemente tutte uguali: il giovane collega di lavoro che, sempre in ritardo, giudica ogni situazione e ogni persona con voti da 1 a 10 e corteggia una ragazza ancora più strana di lui; un anziano ballerino di kabuki nei parchi della città; un avversario sconosciuto per una partita a tris; un bambino che piange perché ha perso di vista la sua mamma al parco e la lista potrebbe proseguire ancora molto. Abitudini quotidiane ed eventi inaspettati che rendono perfetto ogni giorno trascorso, come dice il titolo.
Ma non è solo la sceneggiatura a rendere meritevole questa pellicola. Innanzitutto, la “confezione” è a dir poco magistrale. L’interessante scelta dell’aspetto in 4:3 rispecchia decisamente la personalità di Hirayama, uomo pratico e analogico, poco incline al digitale. La fotografia curatissima, le inquadrature lente, scorci di paesaggi e primi piani in stile quasi documentaristico trasmettono a chi guarda un misto di stupore e nostalgia. La selezione dei brani rock che fanno da colonna sonora interamente diegetica è impeccabile.
Pur nella sua ricercatezza e nell’elevata qualità tecnica, il film non risulta un prodotto “per pochi intenditori”. L’ultima opera di Wenders riesce a regalare diverse emozioni a qualsiasi spettatore: riempie gli occhi di bellezza e trasmette serenità. Il pubblico non vedrà una particolare evoluzione del protagonista, ma si alzerà dalla poltrona con la sensazione che qualcosa sia cambiato dentro di sé.