Sulla croce si consuma il dono d’amore di Gesù

Matteo 27,11-54Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo. A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».

March 29, 2023

| DI Lorenza Ferrari

Sulla croce si consuma il dono d’amore  di Gesù
Inizia con la Domenica delle Palme la Settimana Santa che ripercorre gli eventi che costituiscono l’inizio e il vertice della fede cristiana: qui si concentra e da qui deriva tutto ciò che nutre e sostiene la fede in Cristo. La lettura del Vangelo di questo tempo liturgico offre la possibilità di seguire gli ultimi giorni della vita di Gesù a partire dall’ingresso festoso nella città di Gerusalemme per giungere fino alla corsa trafelata di Maria di Magdala il mattino dopo il sabato, quando si accorge che la pietra del sepolcro è stata spostata. La liturgia di questa domenica prevede la lettura del racconto della passione secondo Matteo, una narrazione che non si presenta affatto come una cronaca, bensì come un’interpretazione dei fatti accaduti. Le grida di “Osanna” che la folla ha innalzato alla volta di Gesù mentre questi faceva il suo ingresso nella Città Santa, sono solo uno sbiadito ricordo, sembra che nessuno le ricordi più; ora la folla appare in preda ad un desiderio di violenza abilmente alimentato da una parte del potere politico.Quello che accade a Gesù è presentato dall’evangelista come un continuo compimento delle Scritture, un tempo denso in cui la volontà di Dio e quella degli uomini si incontrano e si affrontano. Gesti d’amore si alternano a tradimenti, a parole inclusive di donazione fanno da contraltare affermazioni di rinnegamento. Sarebbe troppo facile avere parole dure e sprezzanti nei confronti di Giuda, che consegna il Maestro per trenta monete d’argento (l’indennizzo riconosciuto per l’uccisione di uno schiavo); per Pietro che, ostinatamente, per tre volte afferma di non conoscere il Nazareno; oppure per gli altri discepoli, che fuggono e si nascondono impauriti. Ciascun credente, probabilmente, nella sua vita ha fatto esperienza della fragilità della fede, del voltare le spalle, dello scegliere un’indifferenza di facciata di fronte a situazioni scomode, spinose, troppo compromettenti rispetto al pensiero della maggioranza. La comunità per la quale Gesù offre la sua vita è da sempre costituita da persone fallaci, inclini a farsi soverchiare dalla paura, sovente incapaci di mantenersi fedeli: questi sono i suoi amici, quelli per i quali è disposto a donare il suo corpo e il suo sangue; per questi Egli sceglie di non fuggire, di andare incontro a quanti lo vengono ad arrestare di notte, di subire ogni sorta di violenza e derisione fino alla morte in croce. Se può risultare difficile pensare ad un Dio che si fa carne e diventa uomo, trovarsi di fronte al racconto della sua morte – per di più nella condizione affine a quella riservata all’empio – è qualcosa che lascia basiti. Tale sensazione di stordimento nasce dalla fatica dell’uomo di ogni tempo di pensare ad un Dio che non sia forte, irreprensibile, capace di tutto quando serve. Il pensiero che spesso esprime colui che ascolta la narrazione della passione si potrebbe sintetizzare così: “o sei Dio o stai sulla croce”, prendendo in prestito le parole del teologo Ramirez. Immaginare il Figlio di Dio che non si sottrae ad una condanna ingiusta, alla violenza gratuita e ad una morte infamante è possibile solo per chi crede, per chi legge gli eventi nell’orizzonte della fede.Tra coloro che mostrano di essere in grado di osservare in profondità e con attenzione quanto accade e che decidono di rimanere ci sono le donne: esse non si sono lasciate irretire dalla paura, sono presenti sotto la croce e hanno sostato nei pressi del sepolcro.  Quelle stesse donne che lungo la narrazione evangelica non hanno parlato, ma che fin dall’inizio del ministero di Gesù lo hanno seguito e servito, saranno le prime destinatarie dell’annuncio della resurrezione e le prime che inizieranno a diffonderlo. I loro gesti, la capacità di osservazione, la loro presenza attiva e sempre nell’ordine della sequela costituiscono un faro e un modello per tutti i credenti.

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