Caro professore, quest’anno l’ora di religione mi è piaciuta molto! Abbiamo affrontato tematiche interessanti ed alcune anche divertenti. È stato bello e significativo il modo in cui ci ha fatto interagire tra di noi tramite alcuni giochi; ne servirebbero molti di più però per farci diventare una classe legata e unita.
Il mio rapporto con la religione è un po’ altalenante. Da quattro anni a questa parte ho cominciato a credere sempre meno, tutto è cominciato da quando è mancato mio papà a causa di un incidente. Fino a quel giorno il mio rapporto con la religione era quello di una ragazzina di terza media, ero ancora un po’ piccola per avere le idee chiare. Mia mamma mi “costringeva” ad andare a Messa, ma per me non era poi così un peso. Mi lamentavo per un attimo, ma poi quando ero in chiesa, ero anche contenta.
Però da quel giorno dell’incidente è cambiato tutto. Ho incolpato di quello che era successo Dio e tutt’ora la penso così. Non riesco a convincermi del fatto che non sia vero, nonostante mia mamma e mio nonno abbiano cercato di spiegarmelo più volte. Vado comunque a Messa quasi ogni domenica, anche se controvoglia, “costretta” da mia mamma e penso che non serva a molto. Andavo a Messa e pregavo anche prima che mancasse mio papà, ma evidentemente non è servito a nulla. Quindi non vedo perché farlo adesso, di sicuro non potrà tornare in vita ed è inutile chiedere che le altre persone vicine a noi stiano bene perché tanto sceglie Dio cosa deve succedere e a chi. Questo è il mio rapporto di oggi con la religione, poi con gli anni sicuramente cambierà. Magari mi renderò conto che è davvero come dicono mia mamma e mio nonno. [Noemi]
L’ora di religione come spazio di apprendimento, di discussione e di confronto dove gli studenti, opportunamente guidati dal docente, possono mettere in gioco se stessi e le loro opinioni senza temere particolarmente verifiche e voti: la lettera di Noemi conferma che una formula del genere è apprezzata perché risulta interessante e divertente e, se perseguita in maniera efficace, può diventare via privilegiata per unire e creare legami significativi tra compagni di classe.
Tornano in mente le parole di Gianni Rodari quando scriveva: “Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco”. Non possiamo, come insegnanti, non ascoltare i nostri ragazzi quando ci chiedono di abbandonare un modello di scuola triste, dove tutto si svolge secondo una seriosa regolarità fatta esclusivamente di spiegazioni, interrogazioni, voti e pagelle. La bellezza dell’andare e dello stare a scuola ha a che fare anche con il gioco, con l’interazione, con il divertimento.
Dopo aver manifestato la sua soddisfazione verso l’ora di religione, Noemi, d’improvviso e senza giri di parole dichiara apertamente la questione che più le sta a cuore: il suo rapporto con la religione e con il credere in relazione alla scomparsa del papà. I toni della lettera cambiano radicalmente e la riflessione si sposta sul percorso religioso e sul tragico incidente che la costringe a misurarsi con la sofferenza e con domande di senso a cui gli schemi precedenti non offrono risposte soddisfacenti ed esaustive.
Noemi si trova di fronte ad un fatto che eccede qualsiasi suo tentativo di ragionamento, un fatto che non si lascia catturare da riflessioni preconfezionate che potevano soddisfare la bambina che era. La morte è davvero troppo! Dov’è quel Dio che avevano detto essere onnipotente, buono, comprensivo? A cosa serve pregare, andare a Messa, manifestare le proprie intenzioni di richiesta se tutto sembra essere in balìa di una volontà superiore apparentemente incomprensibile?
Eppure non tutto è perduto, non tutto è lasciato andare; l’originalità del cenno di riflessione che conclude la lettera sembra alludere ad una fiammella di speranza non completamente spenta; qualcosa rimane, non si sa bene cosa, forse una vago sentore di Dio, forse un minimo rapporto, certamente indefinito ed enigmatico, con la religione, probabilmente il tenersi ancorati alle parole e all’esempio trasmessi da persone care.
Noemi non si abbandona al pessimismo ma confida che la testimonianza della mamma e del nonno in un Dio che non è colpevole della morte dei suoi figli, in futuro e secondo modalità inaspettate, si riveli vera e reale. In queste parole conclusive credo si faccia portavoce di quell’invito che instancabilmente, anche se in modo confuso e implicito, i ragazzi rivolgono agli adulti, genitori o insegnanti che siano, a non rinunciare a testimoniare ciò in cui credono e sperano.
A noi l’arduo e affascinante compito di non deluderli! [Stefano Valle. Mail: info@opados.it]