Anche il brano evangelico della quinta domenica di Quaresima sollecita la riflessione in merito al tema della fede, una fede davvero forte ed esigente perché chiamata a confrontarsi con la morte.Il lettore contemporaneo dallo spiccato senso critico non può che sentirsi spiazzato o addirittura turbato di fronte al silenzio e all’immobilità di Gesù dopo aver ricevuto la notizia che Lazzaro sta male. L’evangelista Giovanni nel corso del suo scritto fa sapere che il malato non è sconosciuto al Maestro, anzi, sono legati da un rapporto di amicizia consolidata, fraterna, che include anche le sorelle del moribondo, Marta e Maria. Questo elemento rende ancora più sconcertante e difficile da comprendere la scelta di Gesù di restare nel luogo in cui si trova. Chiunque di noi se fosse raggiunto dalla notizia che qualcuno appartenente alla cerchia dei suoi affetti non sta bene, si precipiterebbe a constatare cosa succede, offrire aiuto o anche solo consolazione, di certo non starebbe immobile e quasi impassibile. Che senso ha questo comportamento del Nazareno che sembra incrinare l’immagine del Dio buono, sempre presente, protettivo che tanto ci rassicura fin dai tempi del catechismo? Forse è davvero giunto il momento di modificare questo modo di concepire il Padre e passare ad una fede adulta, capace di attraversare anche il tempo della sofferenza e della morte. Gesù si ferma ancora due giorni al di là del Giordano prima di annunciare ai discepoli la volontà di tornare in Giudea. Tale desiderio a questo punto coglie di sorpresa i Dodici poiché sanno che i Giudei desiderano fare del male a Gesù, una simile decisione a loro appare troppo rischiosa. Il Nazareno, però, sa che Lazzaro è morto, ma è consapevole anche che questo evento può divenire un’occasione per corroborare la fede in Lui e nelle sue parole. Venuta a conoscenza dell’arrivo del Maestro, Marta, sorella di Lazzaro, gli va incontro e gli rivolge una frase meravigliosa nella sua autenticità, che pare stare a metà tra una confessione di fede e un rimprovero: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Marta sa che Gesù può chiedere tutto a Dio, sa anche che suo fratello risorgerà nel giorno finale, ma Egli la invita a compiere un ulteriore passo nella fede presentandosi a lei come la resurrezione e la vita. Gesù dice «Io sono la resurrezione e la vita», e quel «Io sono» riporta presto alla mente il nome con cui Dio si è presentato a Mosè, un nome che attesta un esserci non da lontano, ma nel tempo presente, qui e ora. Questa affermazione genera una crescita di fede nella donna che afferma: «Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».Anche Maria, l’altra sorella del defunto, giunge poi sulla scena e con lei si presentano anche i Giudei che erano andati a offrirle conforto. Di lei non si dice molto: le parole che rivolge a Gesù sono le stesse di Marta ma, a differenza di questa, Maria sembra essere contraddistinta unicamente dal suo dolore e dalle sue lacrime che sembrano contagiare tutti presenti. Arrivato nei pressi del sepolcro di Lazzaro, Gesù ordina di togliere la pietra all’ingresso; in seguito, chiama con forza Lazzaro e lo invita ad uscire e sollecita a liberarlo dai segni della morte e così accade. L’ultimo comando che il Maestro dà, però, è quello più strano: «Lasciatelo andare». Ma dove deve andare uno che è tornato in vita? Ci saremmo aspettati una parola di ringraziamento, una corsa verso le sorelle, un abbraccio commosso e invece, nulla di tutto questo. Per esprimere l’andare di Lazzaro viene utilizzato lo stesso termine che descrive l’andare di Gesù al Padre. Il precorso di Lazzaro prelude a quello del Maestro. Il senso che Gesù intende comunicare con questo segno prodigioso è, quindi, che per chi crede in Lui la morte non è più l’ultima realtà definitiva, chi crede in Lui vive e vivrà per sempre.