Nei giorni scorsi ha fatto notizia quanto avvenuto nella scuola secondaria di primo grado, ex scuola media, Mario Costa di San Francesco al Campo di Torno, dove 22 ragazzi e ragazze di seconda e terza sono stati puniti con diverse sanzioni, alcuni anche la sospensione per un giorno, per uso improprio del cellulare in classe. Gli studenti, infatti, durante le lezioni fotografavano o filmavano se stessi o i compagni o gli insegnanti senza autorizzazione, e poi facevano circolare foto e video su WhatsApp. Scoperta la cosa, la dirigente dell’Istituto è intervenuta con diverse sanzioni, sanzioni giudicate da molti genitori appropriate, ma da alcuni invece eccessive.
La risonanza avuta da tali fatti, di cui si è scritto su tutti i giornali, fa capire come ormai il possesso e l’uso del cellulare siano considerati diritti fondamentali per tutti, anche per i più piccoli, senza rendersi conto della necessità di educare ad un uso corretto di telefono e internet.
Anzitutto è necessario aiutare i ragazzi a rispettare le regole, che chiaramente dicono che a scuola non bisogna usare il telefono cellulare. Si tratta di aiutarli a capire la motivazione che sta dietro ad un tale regolamento e l’importanza di costruire rapporti reali e non virtuali, di essere attenti alle persone, di dialogare con amici in carne ed ossa, di vivere la realtà.
Inoltre, se è vero che gli studenti nel passarsi le immagini deridevano i docenti, il fatto acquista un’ulteriore gravità, perché diventa una mancanza di rispetto nei confronti degli educatori, che in tal modo vengono delegittimati nel loro compito educativo. In questi casi è fondamentale la sintonia tra tutti quelli che hanno responsabilità educanti, e quindi il fatto che alcuni genitori abbiano pubblicamente manifestato di non essere d’accordo con la sanzione della dirigente, accresce il divario tra scuola e famiglia, rendendole incapaci di essere efficaci nel favorire la maturità dei giovani. Secondo questi genitori ad aver sbagliato non sono stati gli studenti ma i docenti che hanno violato la privacy dei ragazzi obbligandoli a far vedere loro le foto del cellulare.
In questo caso dobbiamo chiederci se ha più valore la mitizzazione della privacy di soggetti ancora in crescita, e quindi non ancora in grado di essere pienamente consapevoli dei loro diritti e doveri, o se invece bisogna aiutare i giovani a capire cosa sia bene e male, cosa sia diritto e cosa sia dovere, cosa sia giusto tutelare e cosa no.
Non tutte le età e non tutto ha lo stesso diritto, per cui l’intervento disciplinare della dirigente, che ha previsto per la maggior parte degli studenti coinvolti alcune ore di formazione sull’uso corretto del cellulare e solo per alcuni la sospensione di un giorno da scuola, non sia stato più positivo di una difesa di diritti che rischia di diventare una giustificazione equivoca.
Proprio per la difficoltà a creare un comune fronte educativo nella pluralità di visioni antropologiche ed etiche dei nostri tempi nelle Indicazioni nazionali per il curricolo del Primo ciclo d’istruzione si afferma: “L’intesa tra adulti non è più scontata e implica la faticosa costruzione di un’interazione tra le famiglie e la scuola, cui tocca, ciascuno con il proprio ruolo, esplicitare e condividere i comuni intenti educativi”.
Al di là quindi di quanto compiuto dai ragazzi con il cellulare, tale fatto ha manifestato una divisione tra genitori ed insegnanti, e proprio questo rende inefficace l’intervento educativo, sia della famiglia come della scuola.
Speriamo quindi che si riesca a ristabilire il consenso sui valori, perché solo così non verrà meno il compito educativo degli insegnanti nell’aiutare i ragazzi a diventare uomini e donne liberi e responsabili.