Se fino a qualche tempo fa un giovane volonteroso mi avesse chiesto un consiglio per trovare lavoro, senza dubbio lo avrei indirizzato verso l’agricoltura: «È il futuro della ripresa economica dell’Italia e anche l’Expo di Milano conferma le enormi potenzialità di questo comparto». Ma dopo la tragica sorte di Paola Clemente, 49 anni, morta il 13 luglio mentre lavorava nei vigneti ad Andria, disgrazia che ha portato l’attenzione su una serie di altre morti inaudite nelle campagne, credo che questo consiglio non avrei più il coraggio di darlo.
Siamo nell’era della tecnologia avanzata, ma questa vicenda ci fa scivolare ai tempi in cui i braccianti venivano trattati da schiavi. È tornato prepotentemente alla ribalta anche il fenomeno del caporalato. Secondo alcune stime soltanto in Puglia sono circa 50mila i lavoratori, come Paola, vittime di intermediazione di manodopera, sfruttamento e violazioni contrattuali. Negli ultimi mesi è emerso anche che i caporali preferiscono le donne italiane agli uomini stranieri, poiché i secondi ormai si ribellano quando le condizioni di lavoro diventano molto pesanti.
Certo, l’Italia è molto lunga e i contesti sono differenti da regione a regione, ma siamo poi tanto sicuri che le nostre campagne siano del tutto esenti da questo genere di lavoro? Ciò che mi piacerebbe sapere è se da noi non c’è ancora scappato il morto perché abbiamo finalmente capito il valore del lavoro umano e ci spendiamo tutti per la dignità di ogni persona, oppure perché qui è un po’ più difficile farla franca.
A onor del vero bisogna anche dire che sono centinaia le imprese che assumono manodopera in regola creando un fenomeno di fidelizzazione reciproca, per cui ogni anno i lavoratori tornano presso le medesime aziende che così hanno la garanzia di collaboratori efficienti e affidabili. Va anche ricordato la preziosa opera di ammodernamento delle imprese agricole fatto in questi anni, che ha reso il lavoro in agricoltura tecnologicamente più avanzato e più sicuro come dimostra il progressivo e costante calo degli infortuni rispetto ad altri settori. Conosco personalmente degli imprenditori e dei lavoratori impegnati per lo sviluppo di un’agricoltura al servizio della sicurezza, della salute, dell’ambiente e dell’alimentazione, che vuole conciliare gli interessi delle imprese, degli occupati e dei consumatori. Ma questo richiede una visione di insieme, e una capacitò di alleanze tra tutte le componenti delle filiere agricole, che non si improvvisa dalla sera alla mattina.
Alla fine però il dubbio rimane e mi rode come un tarlo: se qui da noi fossimo solo un po’ più bravi perché non ci è concesso il diritto all’impunità, allora dovremmo anche ammettere tristemente che non siamo affatto lontani dal paradigma del profitto senza limiti, compresa la vita, che vediamo bene declinato nelle campagne di Nardò, Andria o Polignano con lo sfruttamento dei braccianti, ma anche nella nuova industria del divertimento di Gallipoli e in quella vecchia e inquinante dell’Ilva di Taranto (tanto per rimanere in Puglia). Se accettiamo la logica del profitto dobbiamo anche sapere che essa si spinge fino al potere di governare la vita. E prima o poi perciò quelle tristi vicende che ci sembrano tanto lontane non tarderanno ad accadere anche da noi.
All’inizio citavo l’Expo di Milano, ma dove sarebbe oggi il famoso Made in Italy a tavola, che ha permesso al nostro Paese di ottenere primati in tutto il mondo, senza i tanti Paola, Zaccaria, Mohamed e gli altri invisibili dei quali non si sa neanche il numero (e tra questi una percentuale purtroppo è di bambini)?
Anch’io, lo confesso, ho comprato al supermercato i pomodori dell’eccellenza italiana ad un prezzo a dir poco stracciato, per fare dei meravigliosi vasetti di conserva, ma dopo questi fatti, quella conserva mi risulta sempre più indigesta.