Fine d’anno: tempo di bilanci, con voci attive e passive, in cui ciascuno, secondo i programmi che si era dato, misura i suoi raggiungimenti e anche le sue delusioni. Non pare davvero brillante, a tutti i livelli, l’esame complessivo di questo 2015, che era nato sotto il segno di Hebdo, e si chiude a livello internazionale con le ultime stragi di Parigi. Ma, più ancora dei singoli eventi luttuosi o tristi che hanno costellato nel mondo l’anno che sta per concludersi, a caratterizzarlo negativamente è l’aria che quest’anno che sta morendo ha assunto nel suo insieme, quasi una condanna che pesa su ciascuno di noi e influisce, molto più di quanto ciascuno di noi vorrebbe, anche sulle nostre sensazioni, in un clima di generica malinconia, che non lascia molto spazio a grandi attese. Se infatti guardiamo a livello internazionale, non pare proprio brillante l’idea di vedere continuare senza una prospettiva di soluzione le migrazioni bibliche di persone costrette ad abbandonare le loro case, a morire annegate in mare con i loro bambini, ad essere respinte dagli abitanti dei luoghi che dovrebbero essere il loro ultimo rifugio. Il loro destino, che ci viene proposto ad ogni momento dai diversi mass media quale fosse un funesto annuncio per ciascuno di noi, non è di certo fatto per invitarci alla misericordia, la virtù sulla quale il pontefice di Roma chiede a tutto il mondo, e non solo ai cattolici, una stagione di comprensione e di pace. Ciascuno di noi sa con quali ristrettezze mentali accetta l’invito così alto e insieme così umano, capace, se fosse accolto con l’apertura con il quale viene mandato, di aprire davvero una nuova era di comprensione reciproca, tra i popoli, le nazioni e singoli di tutto il mondo.
Ogni fatto funesto ha tuttavia in se stesso la propria redenzione, quasi la propria vendetta. I capi delle nazioni, gli uomini politici, i personaggi del potere economico, sono sempre più ostili l’uno all’altro, diffidano reciprocamente, si chiudono l’un l’altro le porte in faccia? Ed ecco che contemporaneamente, quasi contestualmente, si formano nuove alleanze, si ribaltano comunanze e perfino amicizie, e si creano nuovi equilibri e progetti diversi. Così che la realtà in cui ci muoviamo, a qualsiasi livello, cambia improvvisamente di colore, assume nuove sfaccettature, acquista improvvisi significati, anche se, in concreto, rimane eguale a quella di prima.
È il caso, ad esempio, delle diverse formazioni politiche che si fronteggiano nelle diverse realtà politiche amministrative in cui ci muoviamo. Se Berlusconi abbandona Renzi per allearsi con il nuovo leader leghista Salvini, l’ex capo leghista Tosi cacciato dalla Lega mostra il suo apprezzamento per il premier Renzi, e studia come sarebbe possibile formare con lui un’ampia coalizione. Non è il solo caso. Ne siamo letteralmente circondati, quasi in confusione, in questo alternarsi di salti della quaglia tra un partito e l’altro, tra un movimento e l’altro, tra uno schieramento e l’altro.
Nel frattempo, tra tutti questi rapinosi movimenti, in mezzo a questo assiduo assedio di opinioni diverse e contrastanti su chi vuole il tunnel sotto la collina, chi ne vuole due e chi non ne vuole nessuno, nessuno pensa più a come risolvere un problema sul quale tutti si dicono d’accordo: recuperare, magari con soldi pronti invece che con denari promessi, i diciassette capolavori spariti d’un colpo dalla pinacoteca veronese di Castelvecchio. Siamo moralmente impegnati a chiederne conto, come cittadini veronesi, a chiunque, domani o posdomani, sarà nominato custode delle chiavi della città, e quindi anche custode delle chiavi di Castelvecchio.
È un pubblico impegno, quello che si assume chi sarà non solo chiamato, ma effettivamente divenuto, il primo cittadino di Verona.