Se non fosse per obbligo di legge, dovrebbe essere l’obbligo di coscienza a motivare l’Inps nella meritoria operazione di informazione dei lavoratori italiani sul loro stato previdenziale. Una busta arancione con dentro la loro “foto”: questi i soldi versati, questa la tua situazione anagrafica-economica, questo è quanto prenderai se le cose andranno avanti così. Siamo riusciti ad arrivare su Marte, stiamo cercando di uscire da una giungla che per decenni ci ha avviluppato, tra “marchette” versate, scomparse, alloggiate in altri enti previdenziali, sparpagliate e alla fine – cioè ad un passo dalla pensione – faticosamente riunite e valutate.
Quindi sia lode e gloria al carrozzone previdenziale, se riuscirà a renderci più facile la vita. Anche più chiara, perché è veramente salutare sapere quale sarà il nostro futuro, al netto dei soliti riti scaramantici del rivarghe... all’età della pensione. Perché così sta emergendo un’amara quanto drammatica verità: i contributi versati oggi stanno pagando le (generose) pensioni di ieri. I lavoratori di oggi – quelli che il lavoro ce l’hanno, in modo continuativo e continuamente retribuito – avranno una pensione che sarà tra la metà e i due terzi di quanto percepiscono oggi: si mettano in testa di fare qualcos’altro, se vogliono affrontare la vecchiaia dignitosamente (previdenza complementare, lavoretto post-pensionistico, vendita immobili, Lotteria Italia...). Le giovani generazioni, semplicemente la pensione non l’avranno, almeno così come l’abbiamo conosciuta finora. A meno di non spacciare per tale i 3-400 euro al mese che faticosamente riusciranno a conquistare verso i 70 anni, dopo decenni di precariato, lavoro sottopagato, buchi previdenziali, versamenti scarsi.
Anche loro, i venti-trentenni di oggi, si mettano in testa strategie alternative: la vecchiaia da passare laddove la vita non costa nulla; il lavoro fino ai 90; una rapina ma non negli uffici postali nel giorno di consegna delle pensioni. Il bottino sarebbe infimo.
Al di là dell’(amara) ironia, quest’operazione trasparenza dell’Inps ci impone di riflettere un po’ di più – cittadini e Stato – sul dopodomani. L’Italia sta invecchiando paurosamente e non fa più figli. Chi pagherà i contributi per le pensioni di decine di milioni di vecchi, tra cui io? E chi riceverà una cifra sufficiente per il pane ma non per il latte, come se la caverà?
Anni fa ci diceva un sindacalista: «Meglio che i giovani non sappiano quale sarà il loro futuro pensionistico: scoppierebbe una rivolta». Nessuno gliel’ha fatto sapere, appunto per evitare mal di pancia incontrollabili. Ora si ritiene sia giusto farlo: forse perché non si può più rinviare oltre, il burrone è lì; forse perché si confida che siano troppo distratti dai social network e dagli smartphone, per rendersi conto di cosa stia accadendo attorno alle loro vite...