Le tensioni politiche nell’Europa del terzo millennio non mancano di certo. Dopo l’addio di Londra all’Ue, si misura il braccio di ferro tra Barcellona e Madrid per l’indipendenza della Catalogna. Venti secessionisti spirano in vari Paesi, a partire dal Belgio (Fiandre-Vallonia) che ospita le istituzioni comunitarie. Senza trascurare le rimostranze irlandesi e scozzesi per il Brexit, le scaramucce di confine tra Ungheria e Romania, le ritrosìe dei Paesi Visegrad verso la “casa comune” o – guardando all’esterno dell’Unione – le preoccupazioni dei baltici nei confronti del vicino russo e di greci e ciprioti che temono Ankara. La vera pentola in ebollizione è però quella dei Balcani. Basterebbe citare il caso Serbia-Kosovo, la “partita” Croazia-Serbia (con gli strascichi della guerra degli anni Novanta), il rebus bosniaco, le ambizioni e i paradossi del triangolo Albania-Macedonia-Grecia; con un vicino di casa ingombrante come la Turchia...
A giorni alterni, però, arriva sulle prime pagine dei giornali la situazione ungherese. L’8 aprile l’attuale premier Viktor Orban, al potere dal 2010, dovrebbe nuovamente vincere le elezioni con una maggioranza “bulgara” (come si sarebbe detto un tempo, anche se al momento si registra una sconfitta choc alle elezioni locali proprio nella roccaforte di Fidesz, il suo partito): i sondaggi lo accreditano al 52%, le opposizioni di estrema destra e di centrosinistra sono deboli e, soprattutto, il capo del governo vanta i risultati di un’economia in crescita e promette muri e barriere contro una presunta invasione musulmana.
Lunedì, in visita a Sofia (la Bulgaria è presidente di turno del Consiglio dei ministri Ue), ha ribadito: «Riteniamo che l’immigrazione sia pericolosa per la sicurezza pubblica, per il nostro benessere e per la cultura cristiana europea». A quel punto illustra una “proposta” ai compagni di strada Ue: «Un pacchetto di soluzioni elaborate dall’Ungheria il cui punto principale consiste nel chiedere all’Ue di smettere di porre la ricollocazione [dei rifugiati] al centro del suo pensiero, invece della protezione delle frontiere».
Non un cenno al fatto che le migrazioni sono un fenomeno epocale difficile da stoppare con qualche chilometro di filo spinato alle frontiere interne dell’Europa, non un pensiero a chi muore in mare fuggendo da guerra e fame, non una parola di solidarietà all’Italia che, praticamente sola, sta gestendo flussi migratori epocali.
Orban ha più volte esplicitato la propria idea di “solidarietà europea”: accettiamo i fondi Ue (anzi, se possibile ne vogliamo di più), per il resto non è affar nostro. Un ripasso dei Trattati a questo punto sarebbe opportuno dalle parti di Budapest.