Il teatro come possibilità di riscatto sociale

Il teatro come possibilità di riscatto sociale
Finalmente è arrivata al grande pubblico una storia davvero molto interessante. La genesi della pellicola è quasi rocambolesca: nel 1985 un giovane attore svedese, Jan Jonson, avvia un laboratorio di teatro in un carcere di massima sicurezza del suo Paese per mettere in scena Aspettando Godot di Samuel Beckett. Il risultato ottenuto è molto meglio di quello atteso e sperato, così viene organizzata una tournée. Da questa storia nasce un documentario del 2005 diretto da Michka Saal: Le Prisoniers de Beckett. Il regista francese Emmanuel Courcol nel 2020 ne fa un bel film titolandolo Un triomphe. Acquisiti i diritti, Palomar, Wildside e Vision decidono di farne un remake affidando la regia a Riccardo Milani e il ruolo di protagonista ad Antonio Albanese.
Gli spunti di riflessione che riesce a dare quest’opera sono molteplici. Antonio, il protagonista, attore deluso dalla sua carriera professionale, ritrova la sua motivazione e la sua verve mettendosi a disposizione di un gruppo di carcerati: il servizio agli altri diventa motore per la sua stessa vita. Come nella più genuina tradizione di quello che viene chiamato il teatro sociale, per Damiano, Mignolo, Aziz, Diego e Radu l’immedesimazione nei personaggi diventa catartica. I diversi ruoli e caratteri dei protagonisti si “connettono” in qualche modo con i detenuti chiamati a portare in scena il dramma di Beckett.
Ma soprattutto: il teatro. Dalle prove alla rappresentazione, passando per i costumi e le scenografie: la finzione spettacolare viene riportata sulla scena cinematografica. Una finzione che risveglia nei detenuti della storia il desiderio del riscatto e della libertà. Vita di carcere che, però, non trova spazio nella narrazione. Viene dato rilievo, invece, ai cinque detenuti e alle loro storie: non per suscitare nel pubblico una sorta di compassione, ma per coinvolgerlo e fargli conoscere le molteplici strade che li hanno condotti fin lì e quindi empatizzare. Meno bene, purtroppo, ne escono gli agenti di polizia penitenziaria: sicuramente non emerge un ambiente carcerario come luogo di recupero delle persone in vista del loro ravvedimento prima del “ritorno” nel mondo.
Diverse occasioni capaci di strappare un sorriso e numerosi episodi che tratteggiano i caratteri diversissimi dei teatranti conferiscono profondità e leggerezza alla pellicola. Alcuni adattamenti “italiani”, assai diversi rispetto alla sceneggiatura svedese e alla versione cinematografica, non aggiungono molto al resto della pellicola, rischiano anzi di sembrare forzature “per far ridere a tutti i costi”.

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