Il nostro viaggio alla scoperta dei piccoli cimiteri della provincia veronese è ancora agli inizi, ma l’impressione che il camposanto di Campiano, frazione collinare di Cazzano di Tramigna, nell’Est Veronese, abbia una vista impareggiabile è quasi una certezza. Le tombe del “borgo dell’iris” – prodotto che fino al secondo dopoguerra aiutò le famiglie a salvare i magri bilanci di un’agricoltura di sussistenza – sono affacciate su una terrazza naturale che lascia senza fiato: guardano la vallata sottostante, verdeggiante di vitigni, ulivi e ciliegi, con il castello di Illasi a punteggiare il paesaggio, fino a scorgere gli Appennini nei giorni più limpidi.
Ma non è questa caratteristica che spinse l’allora municipalità a costruirlo in questa posizione. Si cercava un posto sufficientemente lontano dall’abitato per tutelare l’igiene pubblica. Lo specifica bene nella sua relazione tecnica l’ingegnere civile Enrico Signorini, incaricato di progettare i lavori. “Come località venne scelta quella distinta in mappa di Campiano al N. 1508 di proprietà del Signor Bonomo Bortolo detto Moscatello, località che offre tutte le condizioni richieste dalle vigenti leggi sanitarie per la costruzione dei cimiteri”, scrive.
“Si è scelta questa località – dettaglia ancora l’ingegnere – perché è sembrata la migliore, in primo luogo per l’esposizione, che i venti dominanti passano sul cimitero parallelamente all’abitato, e quindi senza mai potere dal cimitero dirigersi verso il paese e trasportare esalazioni miasmatiche di qualsiasi natura; poi perché la falda acquea che passa nel sottosuolo non può andare ad inquinare le acque che scorrono nell’abitato, essendo dirette a nord-est; infine per la natura del terreno che in questo punto è la migliore che si sia trovata [...] perché fatto un escavo profondo più di due metri e mezzo, non si riscontrò altro che buona terra calcare argillosa”.
Insomma, a leggere la relazione dell’epoca, miglior posto non si poteva trovare. Cominciarono così i lavori di costruzione, nel fazzoletto di terra di forma rettangolare (quasi quadrato, essendo 20 metri per 18,75), protetto da un muro di cinta. La superficie necessaria fu calcolata con esattezza: “La media della mortalità annuale in Campiano è di N. 6 individui, comprendendo in questo numero i bambini e i nati morti, ma considero come tutti adulti i morti, che, come già dissi, non è mai bene lesinare con questo spazio”. In una lettera inviata al Comune, l’ingegnere ribadiva infatti che era meglio stare un po’ più larghi coi conti, perché i sei morti annuali potevano essere anche di più in quei “tempi eccezionali di epidemie e di tellurici cataclismi”. Se possiamo citare questa fonte è grazie al prezioso lavoro di ricerca dell’architetto Renato Molinarolo, autore con Daniela Noli del volume San Giorgio. Una rivelazione in Valtramigna (Gianni Bussinelli Editore, 2019), che ha condiviso con noi la trascrizione dei carteggi.
Il nuovo cimitero fu inaugurato nel 1893, come ricorda la croce in ferro posta al centro dello stesso. Per raggiungerlo bastava percorrere – come oggi – la stradina sterrata lungo la collina, distante circa 300 metri dalla chiesa. “Si accede dal lato di mezzogiorno mediante cancello in ferro sorretto da due pilastri in istile toscano – scriveva ancora il progettista –. Il cancello è di ferro perché il viandante possa vedere nell’interno anche quando è chiuso e rivolgere preci ai trapassati; nella parte inferiore è più spesso per impedire che vi penetrino animali che possano recar danni o sfregi”.
Chi sarà stato il primo defunto sepolto qui? La risposta si ha leggendo la lapide affissa sul muro di nord-ovest: il signor Bortolo! Quel Bonomi “di questa terra già proprietario e poi pel primo in essa sepolto, dopo lungo incurabile malore pazientemente tollerato, nell’anno 62 di vita, il 19 gennaio 1894”.
Tra la cinquantina di sepolture – tante quante gli attuali residenti del borgo oggi – i cognomi che ricorrono con più frequenza sono Bonomo, Catazzo e Origano. Accanto alla cappellina centrale ci sono le lapidi di padre Eutimio Eugenio Catazzo (1915-1996) e di don Giovanni Ceschi (1880-1946), “che per primo eresse e governò per 25 anni questa parocchia (sic)”.
La lapide più curiosa si trova sempre nel muro settentrionale, ma verso est: “Qui giace la salma di Carlo Vicentini. Poverino! La notte del 7 febbraio 1901 tra monti morì dalla neve soffocato, pregate per lui”. Accanto a lui, adornato con fregi floreali, c’è il ricordo dei fratelli Angelo e Antonieta Piubello, morti nel 1926 e 1927: lei “esemplare e operosa”, lui “reduce valoroso dalla guerra libica ed europea”, entrambi “rapiti da morbo implacabile all’amplesso della cara famiglia”. A vegliare su di essi, il papà Stanislao, morto a 82 anni nel 1939, che “in tutta la vita si mostrò cristiano esemplare”. Ma basta attraversare i piccoli vialetti per perdersi tra gli epitaffi e scoprire qualcosa di più su chi ci ha preceduto.