È il cimitero che serve i tremila abitanti di Palazzolo di Sona, ancora in uso. È meno piccolo di quelli visti finora, ma molto caratteristico. Le sepolture più antiche sorgono a ridosso della splendida pieve romanica di Santa Giustina, sull’omonimo colle. Uno scrigno di storia che si affaccia sulla pianura di Bussolengo: da qui sono passati Romani, Longobardi, Scaligeri e, venendo a tempi più recenti, i Savoia durante la Prima Guerra d’indipendenza.
Ad accompagnarci in questa tappa è Mariuccia Armani, vicepresidente dell’associazione La Torre di Palazzolo, volontaria che da anni conduce le visite guidate nella pieve, chiusa da un mese per lavori di consolidamento che dureranno un anno. Santa Giustina è di proprietà del Comune: è usata per concerti e rassegne culturali, è ancora officiata e, su richiesta, si celebrano anche i sacramenti.
«La costruzione attuale risale all’XI secolo: col terremoto del 1117 la pieve ebbe danni irreparabili e fu ricostruita in stile romanico; prima ancora era longobarda, tanto che numerosi reperti sono inglobati nelle mura perimetrali dell’attuale edificio – racconta la storica –. Un documento del 966, conservato nell’Archivio di Stato, informa che si trattava di una pieve confinante con le proprietà del monastero di San Zeno di Verona, che aveva possedimenti a Pastrengo; e qui si esigevano anche le decime, come testimonia una Bolla di papa Eugenio III del 1145».
Oltre alle tracce longobarde, molte sono quelle romane. «In prossimità di Palazzolo passavano la via Claudia Augusta, la Gallica e la Postumia, era a un crocevia importante – aggiunge –. La colonna tortile presente nel campanile del XIII secolo è romana, così come l’ambone all’interno della pieve, mentre sulla parete esterna ci sono dei mattoni romani, firmati “FR”, indicazione della fornace in cui furono costruiti».
E le sepolture attorno a questa pieve ricca di affreschi trecenteschi e così particolare, con una sola navata e due absidi? «Da quando c’è la chiesa, ci sono sempre state – spiega –. Sappiamo che il paese sorgeva attorno alla pieve, finché nel 1233 Ezzelino da Romano non lo incendiò; l’abitato si spostò sul colle di San Giacomo, più protetto: lì c’era una chiesetta gentilizia dei marchesi Spolverini, che fu usata come parrocchiale dal 1529 fino al 1813; in quel periodo Santa Giustina servì solo per i funerali e le festività solenni di Natale, Pasqua, Ascensione, Pentecoste e quelle legate alla Vergine». Se, nel frattempo, qualche tumulazione fu fatta accanto alla nuova parrocchiale, ci pensò l’editto napoleonico del 1806 a riportare tutti i morti lontano dal paese, quindi a Santa Giustina.
«In alcune foto antiche si vede che il cimitero era racchiuso a sinistra da un muro: la canonica era a fianco del campanile e il parroco entrava da una porta oggi murata – prosegue Armani –. L’ingresso non era l’attuale, ci si arrivava da un sentiero, passando da una porticina sul muro perimetrale».
Oggi le lapidi più antiche sono quelle affisse sulla facciata e sul fianco sud della pieve. Ambrosi, Tacconi, Fasoli e Fiorini sono i cognomi più ricorrenti. “Qui dorme in pace Luigi Fiorini, medico fisico, rapito d’anni 27 all’amore di sua famiglia, alla speranza degli ammalati che per 2 anni lo sperimentarono saggio, zelante, pio, morì il 6 dicembre 1843”, dice una lapide. Poco lontano, due epitaffi sono scritti in prima persona. Quello di Gianfranco Albertini, di mesi 14, dice: “Genitori non piangete se bomba nemica il 14 febbraio 1947 mi tolse tragicamente al vostro affetto. Sono in Cielo e prego il Signore per voi”. Iolanda Bertoli, nata il 15 maggio 1902, si rivolge a chi legge: “Fui un fiore di vita e di salute, ma gli ultimi 6 mesi il martirio di indomito morbo mi maturava per il Paradiso, che il buon Dio mi aperse il 2 agosto 1926”.
Toccante, infine, l’area dei bambini, che accoglie 13 tombe, l’ultima del 2008. Una recita: “Genitori, vi o’ lasciati non vi o’ abbandonati. Sono volato al Cielo. Di là prego per voi”. È la tomba di Turri Paolino, morto 17 agosto 1949, vissuto solo due giorni.