In compagnia di Virgilio, Dante giunge sulla spianata del quinto girone del Purgatorio (canto XX), destinato agli avari, che nel pianto giacevano bocconi a terra. Incontra papa Adriano V, papa per poco più di un mese, il quale confessa di essere stato dominato nella sua vita dall’avarizia. E riconosce la giusta punizione: costretti a fissare quella terra verso i cui beni sono vissuti con avidità. Lascia il Papa e prosegue il cammino rasente la ripa rocciosa per non camminare sopra le ombre degli avari. Ed è a questo punto che, constatando quello strazio vastissimo, Dante prorompe nell’invettiva: “Maledetta sie tu, antica lupa, / che più di tutte l’altre bestie hai preda /per la tua fame sanza fine cupa!”. E sogna l’arrivo del Veltro, più volte fatto entrare sulla scena della Divina Commedia, in tutte e tre le Cantiche. Con ogni probabilità corrisponde all’imperatore di Germania, dapprima Alberto, poi Arrigo VII, da Dante invocato come paciere universale, il solo in grado di porre fine a tanti mali. Dante incontra Ugo Capeto, capostipite della dinastia reale francese dei Capetingi, il quale traccia a Dante la storia dei suoi discendenti, da Carlo d’Angiò fino a Filippo IV il Bello, il quale ad Anagni umiliò papa Bonifacio VIII che lo aveva scomunicato. Ecco il misfatto: a nome del re, quale nuovo Pilato, Gugliemo di Nogaret e Sciarra Colonna, con 800 armati invasero la residenza pontificia dichiarando prigioniero il Papa (lo schiaffo di Anagni): “Veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, / e nel vicario suo Cristo esser catto”. Grazie ad una insurrezione del popolo il Papa fu liberato, ma morì poco dopo. Dante, che non aveva di certo in simpatia papa Bonifacio VIII, condanna comunque lo schiaffo di Anagni, in quanto riconosceva anche in papa Bonifacio VIII, come successore di Pietro, il rappresentante di Cristo in terra.
L’avarizia, intesa come insaziabile avidità di beni, è paragonata da Dante, fin dall’inizio del Poema, ad una lupa sempre affamata. La peggiore delle bestie, in quanto l’avarizia rende l’uomo schiavo dei suoi beni, che vuole accumulati all’infinito. Vive per accumulare e moltiplicare le sue ricchezze. E si identifica con esse. Per avarizia, anche i potenti e soprattutto i regnanti hanno mosso guerre e compiuto pesanti ingiustizie. L’Anno Giubilare sospinge a distaccarci dai beni della terra e a fare di essi un mezzo di solidarietà con i poveri del mondo.