“La felicità è un mito inventato dal diavolo per farci disperare”: sono parole contenute nelle toccanti lettere d’amore che lo scrittore francese Gustave Flaubert inviò tra il 1846 al 1848 a Louise Colet, che lui stesso definì “la sola donna che ho amato e avuto”. La loro storia fu, in verità, molto travagliata e di fatto mai vissuta pienamente, perché lei aveva già un marito e un amante, lui – da sempre anticonformista, libertino e inquieto – voleva rimanere indipendente.
Colpisce che a riprendere una frase dell’autore tra l’altro de L’educazione sentimentale e Madame Bovary, sia sì un altro francese, ma molto lontano da lui, come il domenicano Adrien Candiard. Classe 1982, priore del Convento de Il Cairo, è uno degli autori di spiritualità più letti in Europa; nelle settimane scorse ha citato questa massima sulla felicità nell’intervento che ha tenuto a Lourdes durante l’Assemblea generale dei religiosi e delle religiose francesi (pubblicato interamente sul sito di Settimana news).
L’ateo e il credente sono d’accordo che la felicità o, meglio, un certo modo diffusa di intenderla, è un’illusione, che non può che essere frutto del “principe della menzogna”. Tutto questo è alla base di quel senso di amarezza, disillusione e delusione che aleggia nella nostra società come evidenzia pure il nuovo rapporto Censis.
Il problema, secondo Candiard, riguarda pure molte proposte pastorali e spirituali che la Chiesa fa oggi. La più grande bugia, infatti, è promettere una felicità «intesa come compimento del proprio essere, come attualizzazione di tutto il proprio potenziale (per dirlo con un vocabolario vagamente tomista), o come realizzazione della migliore versione di sé (per dirlo con le parole dello sviluppo personale, che hanno penetrato profondamente [...] il nostro discorso su noi stessi)». Quasi all’opposto, persiste un’altra bugia di pari intensità per la quale la felicità passerebbe in qualche modo da “eliminarsi” ovvero dal rinunciare «all’essere se stessi, al pensare, al parlare e difendere il proprio punto di vista, al vivere».
Per riprendere un po’ di sensatezza e serenità in questo mondo, occorre ricordarci, come sottolinea Candiard, di tornare almeno qualche volta alla sapienza biblica, che offre quattro punti cardinali: solo un dono generoso e totale di sé porta come frutto la felicità; non esiste il Dio tappabuchi «che risolve i nostri problemi e organizza i nostri trionfi»; non bisogna prendersi troppo sul serio; bisogna resistere all’amarezza «nonostante le occasioni perse, le incomprensioni, le assurdità».