La flebile voce di una bambina di Gaza da un’auto colpita dall’esercito israeliano

| DI Francesco Marini

La flebile voce di una bambina di Gaza da un’auto colpita dall’esercito israeliano
Ha fatto molto parlare di sé la regista tunisina Kaouther Ben Hania con il suo film La voce di Hind Rajab. Non solo per i 24 minuti di applausi al termine della proiezione alla Mostra del cinema di Venezia, ma anche per il tipo di lungometraggio portato in sala. La trama è molto semplice: Hind Rajab era una bambina di 6 anni che il 29 gennaio 2024 aveva chiamato la Mezzaluna rossa per chiedere aiuto. Mentre con i cugini e gli zii stava lasciando Gaza in ottemperanza a un ordine di Israele, la sua auto è stata colpita dall’esercito israeliano. Dopo una giornata di “prigionia” nel mezzo, circondata dai corpi dei familiari, Hind viene uccisa insieme ai soccorritori accorsi in suo aiuto. Se la storia di Hind Rajab colpisce per la sua drammaticità, la forza del film risiede soprattutto nelle scelte registiche. L’elemento di spicco è quello che dà il titolo alla pellicola: quella che viene portata in sala è la voce della bambina registrata durante le chiamate ai soccorritori (il film non è stato doppiato, ma è visionabile solo sottotitolato). Nella “ricostruzione” non sono stati riportati i 70 minuti di registrazione disponibili (sono state numerose le telefonate intercorse tra la piccola e i volontari), ma una selezione che permettesse di comprendere il susseguirsi dei fatti. In secondo luogo, quasi tutto il lungometraggio è stato girato dentro una stessa stanza. Ambientato nella sede della Mezzaluna rossa, tutto quello che succede nei luoghi del conflitto viene solo immaginato dallo spettatore attraverso l’ascolto dei dettagli forniti durante le telefonate: scelta che ha un impatto emotivo davvero forte. Alcune foto e filmati originali di quel giorno, integrati in modo geniale all’interno del film stesso, mettono in discussione il concetto stesso di documentario: non è così semplice attribuire un genere cinematografico a quest’opera. D’altra parte, questo fa sorgere anche una domanda sull’eticità dell’operazione: anche in un film denuncia, è lecito mettere in mostra la vera sofferenza umana di una persona?
L’attualità dei fatti, infine, conferisce una valenza politica al prodotto artistico creando quasi un paradosso: la violenza che sta uccidendo migliaia di persone entra quotidianamente nelle case attraverso la televisione, ma non trova spazio in un’opera di “finzione”. E forse proprio questo aspetto è quello più interessante e simultaneamente problematico: il coinvolgimento crea una forte e immediata reazione emotiva, ma quasi ostacola una riflessione più approfondita. La voce di Hind Rajab non è solo una testimonianza, ma un grido che costringe lo spettatore a interrogarsi, a restare in ascolto, a non voltarsi altrove.

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