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La testimonianza di Edith sopravvissuta al lager

Edith Bruck
Il pane perduto
La Nave di Teseo
Milano 2021
pp. 126 – Euro 16

Parole chiave: Edith Bruck (1), Il pane perduto (1)
La testimonianza di Edith sopravvissuta al lager

C'è ancora qualcosa da dire sull’Olocausto? O meglio: si può ricavare un racconto che sia significativo pur ripercorrendo le tappe ormai tristemente canoniche di ogni narrazione che ha come punto di arrivo il lager? Edith Bruck nella sua ultima fatica testimoniale Il pane perduto ci dice che questa fatica immane di dare ordine al disordine attraverso le parole è ancora possibile, ma è, il suono di questa parola, come un fuoco “che affina” per dirla con Dante. In uno sperduto villaggio ungherese, come nei tanti racconti yiddisch, “c’era una bambina che, al sole della primavera, con le sue treccine bionde sballonzolanti correva scalza nella polvere tiepida”. Un incipit che promette vita, spensieratezza, felicità. Una famiglia raccolta attorno alla mamma, centro morale della casa, le difficoltà della vita quotidiana e una fede vissuta nelle pratiche rituali e nelle ricorrenze dell’anno ebraico. Tutto questo quadro lentamente si dissolve e le crepe dell’insieme vengono percepite dai protagonisti, Ditke per prima, da piccoli ma significativi mutamenti che, passo dopo passo, isolano la comunità ebraica che un giorno viene ammassata e deportata nel ghetto della vicina città e da lì avviata ad Auschwitz. Un viaggio lungo e terribile con la selezione all’arrivo “dove il dito di Mengele indicava la sinistra che era il fuoco e la destra l’agonia del lavoro, gli esperimenti e la morte per la fame e il freddo”. Gli scorci narrativi attraverso cui Edith Bruck fa trapelare la vita nel lager sono potenti come lame di luce: la sua famiglia che viene inghiottita nel gorgo nero del crematorio, il padre, la madre con altri cari spariscono nel fumo del camino. L’odore della morte, la durezza sadica delle Kapò e delle SS: tutto questo condisce l’adolescenza di una ragazza costretta a crescere troppo in fretta. C’è un legame fortissimo con la sorella maggiore Judith, grazie alla quale Ditke si salverà e ricomincerà a vivere. La seconda parte del libro racconta le peregrinazioni dopo il lager: il ritorno a casa, l’abbandono definitivo della propria patria per inseguire un sogno di libertà nel neonato Stato di Israele. Ma anche la volontà irrefrenabile di cominciare a raccontare per dare fondo al suo vissuto e, dopo una serie di tappe nell’Europa mediterranea e solare, l’approdo a Roma. La città appena uscita dalla guerra è piena di ferite, ma anche di occasioni e Ditke-Edith riesce a pubblicare il suo primo libro, la cui uscita coincide con l’inizio della sua storia d’amore con Nelo Risi che durerà sessant’anni. Una corsa quasi da togliere il fiato, sul piano narrativo, con grande fermezza e capacità di racconto, che si placa nella finale “Lettera a Dio” dove l’autrice fa il punto della sua straordinaria, operosa vita “pietà sì, verso chiunque, odio mai”

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