Il Fatto di Bruno Fasani
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Una tragedia che interpella la società e ognuno di noi

La tragedia di Corinaldo, in provincia di Ancona, rischia ancora una volta di essere rimossa, attribuendone la responsabilità a qualcun altro. Non importa chi esso sia, l’importante è che sia qualcun altro. Eppure sei morti, cinque minori e una giovane mamma, sono lì, pesanti come pietra nel rigore della morte, a interrogare la coscienza di tutti, nessuno escluso...

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La tragedia di Corinaldo, in provincia di Ancona, rischia ancora una volta di essere rimossa, attribuendone la responsabilità a qualcun altro. Non importa chi esso sia, l’importante è che sia qualcun altro. Eppure sei morti, cinque minori e una giovane mamma, sono lì, pesanti come pietra nel rigore della morte, a interrogare la coscienza di tutti, nessuno escluso.
A cominciare ovviamente dai gestori della discoteca. A fronte di 460 biglietti regolarmente venduti e con tanto di tassa da versare alla Siae, sembra che siano stati concessi molti altri permessi di accesso, rischiando di mettere a rischio la vita delle persone, come di fatto si è verificato. E questo non succede solo a Corinaldo in una particolare circostanza. Sappiamo che è malcostume diffuso. Va da sé che il cittadino si interroga e si chiede perché ci sia sempre un vigile zelante a multarci per un divieto di sosta, mentre risulta sempre latitante il controllo in questi luoghi.
Sappiamo poi bene cosa gira in questi ambienti, frutto di una cultura per cui bisogna divertirsi da morire. Dove il morire non è soltanto una metafora per indicare il massimo, ma spesso si traduce nel drammatico realismo del morire davvero. Dicevamo della responsabilità dei gestori del locale. Un papà accorso sul luogo del dramma ha detto testualmente: «I ragazzi erano tutti ubriachi». Forse le parole nascondono l’esagerazione di un dolore esasperato. Ma è risaputo che si tratta di parole che sottendono tanta verità. Così come vero è il giro di droga che scandisce i ritmi di biologie sfinite dentro il chiasso del luogo, dove, come diceva un acuto osservatore, si va insieme per restare soli, spesso storditi dentro i fumi dell’alcol e di sostanze allucinogene. E qui, nel caso di Corinaldo si trattava di adolescenti, ma anche di bambini di undici anni.  
C’è una domanda che dobbiamo avere il coraggio di farci con crudezza, oltre i luoghi comuni del divertimento: per quale motivo si va in discoteca oggi? La domanda non è moralistica. Vuole semplicemente marcare il confine tra quello che è il legittimo desiderio di evasione e di stare con gli altri da ciò che abbruttisce la persona violandone l’integrità.
Credo che specialmente la famiglia sia chiamata oggi al coraggio di andare in controtendenza, riappropiandosi di un ruolo senza il quale né la scuola, né la Chiesa, né lo Stato potranno granché. Certo viene da chiedersi di cosa parliamo quando parliamo di famiglia educativa. Una giovane neosposa, che si stava fumando uno spinello, al mio stupore esordiva candidamente: ma guardi che anche mia suocera si fa qualche riga di coca per tirarsi su. Ah benon!
Detto con tutto il rispetto per il dolore delle famiglie, viene spontaneo chiedersi se sia normale che ragazzini dagli 11 ai 15 anni siano a mezzanotte fuori da soli, in attesa di inneggiare a un presunto artista che in quell’ora è ancora ad esibirsi altrove. E soprattutto mi chiedo se questi genitori conoscano i testi delle canzoni di questo personaggio, mito dei loro figli. In tempi in cui ancora si poteva parlare di morale sarebbero stati oggetto di denuncia. Parlare di ragazzine come vacche, piene di vodka, da usare come biliardo, non credo sia la massima aspirazione di un genitore che ama i propri figli.

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