Il Fatto di Bruno Fasani
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Il fenomeno delle baby gang nasconde il vuoto educativo della loro interiorità

Inutile nascondere la testa sotto la sabbia. E inutile anche minimizzare per non sembrare catastrofisti. Vendere qualche spruzzata di ottimismo regala sempre un po’ di bella figura, ma è come nascondere lo sporco delle unghie sotto un velo di lacca colorata

Parole chiave: Il Fatto (415), Bruno Fasani (323), Baby Gang (5)

Inutile nascondere la testa sotto la sabbia. E inutile anche minimizzare per non sembrare catastrofisti. Vendere qualche spruzzata di ottimismo regala sempre un po’ di bella figura, ma è come nascondere lo sporco delle unghie sotto un velo di lacca colorata. Le baby gang esistono ormai anche nelle nostre città di provincia, quelle che un tempo ritenevamo quasi dei paesi sotto controllo, rispetto alle grandi metropoli in balia di se stesse.
Sono perlopiù minorenni. Si muovono in branco. Aggrediscono, compiono furti, rapine con armi spesso improvvisate, si producono in risse clamorose, dove la violenza senza motivo sembra ridursi al piacere di un esercizio fisico. Qualche volta ci scappa il morto o il ferito grave.
Non so come siano questi ragazzi dentro le mura domestiche. Faccio fatica a credere che non diano segnali inquietanti della loro inquietudine. Può essere che i genitori vedano e intuiscano, ma che rimuovano. La percezione della realtà causa spesso un dolore più acuto della stessa realtà dei fatti. Non è mia intenzione colpevolizzare le famiglie. Sono esse stesse le prime vittime di questo tempo, figlie di quel ’68, che ha preteso di insegnare la libertà, togliendo le ali per volare.
Pensando ai ragazzi, mi viene in mente piuttosto la responsabilità della scuola. Victor Hugo diceva che aprire una scuola vuol dire chiudere una prigione. Erano altri tempi. Da noi, la Provvidenza mandò un san Giovanni Bosco a togliere dalla strada bambini senza futuro. Oggi lo scenario non è più lo stesso, anche se nel Paese rimangono sacche di analfabetismo che finiscono per consegnare alla malavita tanta sprovveduta e ignorante manovalanza. Non ovunque è così, ma rimane il fatto che ovunque la scuola deve tornare a riappropriarsi del suo ruolo educativo, evitando di limitarsi a dare solo competenze. Ne ha la vocazione e il mandato istituzionale.
Credo che il grande sforzo della politica debba partire dall’obbligo di reinventarne il ruolo, considerata la situazione di precarietà che si avverte. A partire da un nuovo patto con le famiglie, per evitare lo scontro con genitori che difendono i figli a tutti i costi per non ammettere il loro fallimento, ma soprattutto sapendo che ogni istante vissuto dai ragazzi nella relazione scolastica, con insegnanti e compagni, diventa una singolare opportunità per potare le scorie inutili e produrre nuove gemmazioni della mente per dare sostanza al loro futuro.
Ma accanto alla scuola, c’è una prima urgenza che andrebbe ripristinata, quella dell’interiorità, del valore della coscienza, della spiritualità, comunque la si voglia chiamare. È il motore con il quale si conduce l’esistenza, una delle due gambe, accanto a quella biologica, del nostro essere nel mondo. Purtroppo una certa cultura ha finito per investire soltanto sulla “carrozzeria”. Siamo tutti esternamente delle Ferrari, ma dentro, al posto del motore, ci muoviamo coi pedali del triciclo. Tutti a rincorrere il mito dell’estetica, a cominciare da adulti e anziani alle prese con un giovanilismo di facciata, che si trastulla nell’illusione di fermare il tempo, dimenticando la saggezza dei vecchi, da sempre punto di riferimento sociale.
Un processo di progressiva dipendenza dall’apparire, che non lascia tempo e scampo per coltivare le cose dell’anima e della coscienza responsabile. In casa non si parla più di Dio, rimosso come schiavitù per superstiziosi. Al senso del bene e del male, si preferisce declinare il mito della libertà secondo i propri gusti e aspettative.
Diceva Dostoevskij che il mondo non finirà a causa delle guerre, ma di un grande sbadiglio, quello della noia e del vuoto interiore, dal quale escono i demoni degli istinti senza anima che ci portiamo dentro. E che oggi camminano per le strade dentro tanti ragazzi, sconsolante specchio di ciò che siamo diventati.

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