Il Fatto di Bruno Fasani
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E adesso chiedere scusa al corpo degli alpini accusati di molestie

Se torno a parlare degli alpini e della dolorosa vicenda che li ha visti alla gogna per settimane, con l’infamante accusa di molestie, non è certo per difenderli. A difendersi ci pensano da soli, senza andare in Tv o sui giornali, ma con la forza delle loro opere...

Parole chiave: Il Fatto (438)

Se torno a parlare degli alpini e della dolorosa vicenda che li ha visti alla gogna per settimane, con l’infamante accusa di molestie, non è certo per difenderli. A difendersi ci pensano da soli, senza andare in Tv o sui giornali, ma con la forza delle loro opere. Nei giorni scorsi ho visitato alcuni campiscuola che da anni organizzano in Italia per i ragazzi e, da quest’anno, anche per i giovani dai sedici anni in poi. Vedere come in pochi giorni li sanno motivare al servizio, al senso della disciplina, alle escursioni impegnative in montagna o a interventi di soccorso, orgogliosi di poter fare a meno del cellulare, è una sberla morale che fa pensare a quanto fallimento pedagogico ci sia in circolazione, dentro e fuori dalla famiglia, dentro e fuori dalla scuola ed anche nella Chiesa. A forza di paura di perderli ci siamo inventati il ruolo di intrattenitori senza chiedere loro nulla in cambio. Divertimento fine a se stesso, purché non ci scappino. C’è un detto che mi piace ripetere di frequente: “I tempi facili fanno gli uomini deboli e gli uomini deboli fanno i tempi difficili”.
Ma torniamo agli alpini e alle accuse infamanti di molestie che li hanno infangati dopo l’adunata di Rimini. Per settimane televisioni e giornali sono andati a gara a sfruculiare nel guano dei si dice, delle denunce verbali, mai approdate nero su bianco sui tavoli delle Procure. A dire il vero una denuncia era arrivata dai giudici i quali, dopo aver visionato le immagini delle telecamere ed esplorato l’esplorabile, hanno deciso per l’archiviazione. Nulla di nulla che potesse dar corpo a quanto esposto in denuncia. Per il resto, a svolazzare nei miasmi del venticello della calunnia, sono rimasti solo i si dice, che fanno male alle persone e, prima ancora, alla verità.
Ripeto ormai all’infinito che certamente anche tra gli alpini qualcuno può aver messo in campo la propria dose di stupidità. E chi non ha il controllo di sé non merita di indossare il cappello. Ma con altrettanta forza denuncio la demonizzazione generalizzata che si è voluta fare di 350mila persone, l’associazione più grande al mondo, nota a tutti per la generosità in ambito sociale e per il suo alto spirito di convivialità, che la fanno unica e amatissima.
Eppure ancora la scorsa settimana un politico del Pd, su una emittente regionale veneta, li definiva “animali”. Pensiero nobile che va ad aggiungersi a quello delle venti deputate del Pd che si sono rivolte al ministro della Difesa, lui pure alpino, per chiedere di mettere rimedio alle occasioni (leggi adunate) in cui possano verificarsi molestie. Mi chiedo se decenza non dovrebbe suggerire a queste illuminate signore di chiedere scusa a un Corpo, quello degli alpini, per una umiliazione giocata in combutta con una informazione che ha scritto una delle pagine più tristi della sua storia. Sarebbe bastato il buon senso per capire dopo due giorni, che dietro a una marea montante di asserite molestie, si nascondeva la strumentalizzazione ideologica, pronta a vedere negli alpini quel militarismo tanto odiato da certo pacifismo intellettuale, che si abbellisce di proclami nobili mentre usa il machete per colpire chi non è allineato. E, se proprio, perché non chiedere di mettere fine anche alle altrettanto diffuse situazioni di promiscuità, concerti, discoteche, rave party, dove spesso la molestia scolora, lì sì, nella violenza?
Dire a una ragazza, come ha fatto qualche alpino, che è bella e che avrebbe passato volentieri una serata con lei, è certamente sconveniente, ma più che alle molestie andrebbe ascritto alla galanteria. A meno che certo femminismo, che ha creato un solco di antagonismo tra maschile e femminile, non abbia deciso di mettere una lapide tombale anche su di essa.

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