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Se il pony express è un “dottore”

Chiamereste “dottore” il giovane che, in motoretta, vi consegna a domicilio la pizza napoletana col cornicione alto e la pummarola, realizzata a puntino da un pizzaiolo egiziano? Di primo acchito forse no, eppure magari vi trovate davvero di fronte a un laureato...

Parole chiave: Pony Express (1), Gig Economy (2), Editoriale (402), Studio (4), Lavoro (62)

Chiamereste “dottore” il giovane che, in motoretta, vi consegna a domicilio la pizza napoletana col cornicione alto e la pummarola, realizzata a puntino da un pizzaiolo egiziano? Di primo acchito forse no, eppure magari vi trovate davvero di fronte a un laureato. Sì perché, secondo la Fondazione Debenedetti, tra le circa 700mila persone che nel nostro Paese svolgono i cosiddetti lavoretti, quelli che in termine tecnico costituiscono la gig economy, ovvero pony express, baby sitter, pet sitter, badanti, addetti alle pulizie, traduttori di testi… il 18% ha un diploma liceale, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o un dottorato di ricerca.
Ovviamente costoro non hanno speso i migliori anni della loro vita e tanti soldi tra tasse universitarie e libri per portare a spasso un cane o per consegnare pizze e cotolette a domicilio. Anche per loro vale il motto: “studiare per lavorare”. Ma come sempre più spesso accade, i giovani studenti giungono a conseguire la laurea, e poi o non trovano un’occupazione, o si devono accontentare di quel che offre il convento, almeno per i primi anni. In attesa che passi il treno giusto per poter svolgere un lavoro adeguato al titolo di studio, con relativo stipendio. Ma quanto tempo occorre aspettare prima che arrivi l’occasione giusta? Talvolta tanto. E per non restare nel frattempo con le mani in mano, qualunque lavoretto (o quasi) può andare bene. I dati dell’Istat al riguardo sono impietosamente eloquenti: 437mila sono i giovani con un titolo di studio superiore a quello richiesto per l’attività che svolgono. In percentuale si parla del 18% dei diplomati e del 28% dei laureati. Tra i primi prevalgono i maschi, tra i secondi le ragazze, col risultato che quasi una donna laureata su tre è iperqualificata per l’attività nella quale è impegnata. Ma ciò che sconcerta è che, nonostante il calo numerico della popolazione giovanile, la quota di questa fetta di giovani sovraistruiti (o, con l’immancabile anglismo, overeducated) è in crescita. Erano 372mila dieci anni fa, 398mila nel 2015 e ora 437mila.
Segno evidente che qualcosa non va nel raccordo tra formazione e lavoro, non vi sono sufficienti occasioni di incontro e di confronto. Per non parlare di chi, stufo di aspettare il treno che non passa, decide di andare all’estero. E magari, per assurdo, senti di aziende che faticano a trovare personale specializzato e qualificato in determinati settori. Mentre invece il pony express ha la laurea in filosofia. Sì perché, secondo la Fondazione Debenedetti, tra le circa 700mila persone che nel nostro Paese svolgono i cosiddetti lavoretti, quelli che in termine tecnico costituiscono la gig economy, ovvero pony express, baby sitter, pet sitter, badanti, addetti alle pulizie, traduttori di testi… il 18% ha un diploma liceale, il 10% una laurea triennale, il 14% una magistrale e il 6% un master o un dottorato di ricerca.
Ovviamente costoro non hanno speso i migliori anni della loro vita e tanti soldi tra tasse universitarie e libri per portare a spasso un cane o per consegnare pizze e cotolette a domicilio. Anche per loro vale il motto: “studiare per lavorare”. Ma come sempre più spesso accade, i giovani studenti giungono a conseguire la laurea, e poi o non trovano un’occupazione, o si devono accontentare di quel che offre il convento, almeno per i primi anni. In attesa che passi il treno giusto per poter svolgere un lavoro adeguato al titolo di studio, con relativo stipendio. Ma quanto tempo occorre aspettare prima che arrivi l’occasione giusta? Talvolta tanto. E per non restare nel frattempo con le mani in mano, qualunque lavoretto (o quasi) può andare bene. I dati dell’Istat al riguardo sono impietosamente eloquenti: 437mila sono i giovani con un titolo di studio superiore a quello richiesto per l’attività che svolgono. In percentuale si parla del 18% dei diplomati e del 28% dei laureati. Tra i primi prevalgono i maschi, tra i secondi le ragazze, col risultato che quasi una donna laureata su tre è iperqualificata per l’attività nella quale è impegnata. Ma ciò che sconcerta è che, nonostante il calo numerico della popolazione giovanile, la quota di questa fetta di giovani sovraistruiti (o, con l’immancabile anglismo, overeducated) è in crescita. Erano 372mila dieci anni fa, 398mila nel 2015 e ora 437mila.
Segno evidente che qualcosa non va nel raccordo tra formazione e lavoro, non vi sono sufficienti occasioni di incontro e di confronto. Per non parlare di chi, stufo di aspettare il treno che non passa, decide di andare all’estero. E magari, per assurdo, senti di aziende che faticano a trovare personale specializzato e qualificato in determinati settori. Mentre invece il pony express ha la laurea in filosofia.

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